Oggetto: 2^ AVVISO A PUBBLICA MENZIONE NR. 0150122154411970, formalizzato in nome e per conto di me stesso Sergio Bortotto, persona di nazionalità Veneta e Cittadina del Popolo Veneto, Essere Umano registrato/a presso l’Anagrafe del Popolo Veneto, sotto l’egida del Governo Veneto Provisorio (GVP) istituito dal Movimento de Liberasione Nasionale del Popolo Veneto (MLNV) ai sensi e per gli effetti dell’art.96.3 del Primo Protocollo addizionale (1977) alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e avente codice unico personale 0000000234501000.-
at
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
PALAZZO CHIGI
PIAZZA COLONNA NR.370, 00187 ROMA – ITALIA
(c.a. Sig.ra Presidente del Consglio dei Ministri pro-tempore ) Giorgia Meloni
at
MINISTERO DELL’INTERNO
(c.a. Sig. Ministro pro-tempore Matteo Piantedosi)
Piazza del Viminale, 1 – 00184 Roma
at
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
(c.a. Sig. Ministro pro-tempore Carlo Nordio)
Via Arenula, 70 – 00186 Roma (RM)
e per l’ulteriore a praticarsi
at
SEGRETERIA DI STATO DEL GVP – SEDE
at
DIVISIONE FEDERALE INVESTIGATIVA
PROVEDITORATO GENERALE DE LA POLISIA GIUDISIARIA
PRESSO IL DIPARTIMENTO DE GIUSTISIA – SEDE
ACRONIMI
– MLNV: Movimento de Liberasione Nasionale del Popolo Veneto
– GVP: Governo Veneto Provvisorio
– OGVP: Ordinamento Giuridico Veneto Provvisorio
– PNV: Polisia Nasionale Veneta
– U.C.C.: Uniform Commercial Code
– RDN: Rigetti di Notifica
– SPN: Denuncia/Segnalazione alla Polisia Nasionale
– APM: Avviso a Pubblica Menzione – Affidavit
CON RIFERIMENTO
alle ragioni notificate alle parti in indirizzo con APM nr.0130612212657403 del 17.04.2023 e precedentemente con SPN nr. 0130612122539208 del 10.04.2023, anche con le motivazioni evidenziate dall’ex Ispettore della Polizia di Stato Sergio Bortotto e che seguono:
—
Quella che ho vissuto è un’esperienza dolorosa e profondamente ingiusta.
L’amarezza per essere stato tradito da un’istituzione in cui credevo e che ho servito con integrità è molto forte.
Scrivo per far trasparire il senso di dignità e l’attaccamento a principi morali solidi che hanno guidato la mia vita e il mio servizio.
Nonostante le sofferenze, la mia determinazione a mantenere intatta la mia onorabilità e a difendere la verità mi incoraggia e mi sostiene.
Riuscire a ritrovare le prove e avere l’opportunità di ristabilire i fatti è sicuramente una vittoria importante.
Anche se il sistema non ha ancora riconosciuto la mia lotta per la giustizia, è evidente che per me la mia integrità vale più di qualsiasi riconoscimento esterno.
Il mio messaggio vuole essere una testimonianza di resistenza interiore, un promemoria di quanto sia importante rimanere fedeli ai propri valori, anche quando tutto sembra cospirare contro.
E la mia fede, con le parole della Scrittura, è un’ulteriore fonte di forza e di speranza per ottenere la Giustizia che, in ultima analisi, non dipende dagli uomini.
In principio, agente in servizio alla Questura di Verona, denunciavo la sparizione di un quantitativo di droga e il conseguente accanimento disciplinare riservatomi che era sfociato addirittura in insoliti accertamenti psichiatrici.
Era il 1984, e in quei giorni non potevo immaginare che un semplice gesto di integrità avrebbe sconvolto tutta la mia vita.
Una quantità di droga era sparita, e la verità non poteva restare in silenzio.
La mia voce si alzò per cercare trasparenza, ma trovò subito un muro.
I colleghi mi guardavano con sospetto, mentre i superiori sembravano ignorare l’entità del fatto.
Mi sentivo solo, ma la verità era una compagna troppo preziosa per voltarle le spalle.
Mi rivolsi dapprima al dirigente della Squadra Mobile, informandolo che il quantitativo di droga che avevo sequestrato e dato alla polizia scientifica per quantificarlo, mi era stato scarsamente restituito.
Non ottenendo esaustiva risposta, mi rivolsi invano al Questore, mettendomi a rapporto per informarlo dell’accaduto.
Mi presentai infine ad un Giudice Istruttore, il Dott. Avolio, credo, al quale raccontavo quanto mi era accaduto.
Fui vivamente invitato a pensarci bene prima di proseguire.
La mia determinazione era tale, comunque, che mi accompagnò da un Sostituto Procuratore, credo fosse Papalia, il quale scrisse qualcosa e mi fece firmare la deposizione.
Uscii dal Palazzo di Giustizia un po’ perplesso ma certo di aver fatto la cosa giusta.
Da piazza Dante tornai a piedi al Raggruppamento di Polizia in via San Vitale e trovai il Comandante, allora il Capitano Marangoni, l’addetto all’armeria e il medico di polizia.
Mi fu ordinato di restituire l’equipaggiamento in dotazione individuale e di accettare l’accompagnamento con un ambulanza dell’ospedale militare di Verona per essere ricoverato presso quella struttura per accertamenti di natura psichiatrica.
Riuscivo a sottrarmi all’accompagnamento coattivo, asserendo che avrei obbedito all’ordine presentandomi alla struttura militare personalmente e rifiutando il ricovero.
Ed è così che sono iniziati gli “accertamenti psichiatrici”.
Anche se avevo rifiutato il ricovero nella struttura ospedaliera militare, ottemperavo alla visite che mi imponevano.
Le stesse però venivano fatte da uno specialista esterno e precisamente dal Prof. Trabucchi, che comunque in me non trovava alcuna anomalia di natura psichiatrica.
Rimasto sospeso dal servizio, venivo nuovamente rimandato, oltre un mese dopo, dallo specialista, il quale si era meravigliato del mio ritorno, confermando i miei sospetti sul fatto che ero già stato da lui dichiarato idoneo al servizio la prima volta.
Nel frattempo, della mia denuncia in Procura, non sapevo più nulla.
Tutta questa situazione ha influito sulla mia vita quotidiana e sulla mia fiducia nel sistema.
Riflettevo così sul valore dei principi in cui credevo e il dilemma di scegliere se continuare o meno a lottare.
Ogni giorno che passava, infatti, mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta, se fosse normale essere punito per aver fatto semplicemente il mio dovere.
Ma, a ogni dubbio, seguiva la convinzione che arrendersi significava negare la mia stessa esistenza, i valori per cui avevo scelto di servire quella che credevo fosse la mia Patria.
Quello che non sapevo, però, è che questo era solo l’inizio.
In verità avevo acceso una miccia pericolosa, e io, inconsapevolmente, mi ero appena preparato a una battaglia molto più grande di quanto potessi immaginare.
Ma il tempo non sempre è tiranno e la testimonianza che mi è arrivata molti anni dopo è per me davvero emozionante e preziosa.
Desidero raccontarvi brevemente di questa testimonianza perché vorrei trasmettere sia i fatti sia le emozioni e il profondo impatto personale di questa battaglia per la verità.
Non solo rappresenta un riconoscimento sincero di chi mi ha conosciuto durante il mio servizio in polizia, ma è anche una smentita chiara e potente contro le maldicenze e le calunnie.
Questo’uomo, allora giovanissimo ragazzo, racconta con gratitudine come ho fatto la differenza nella sua vita e in quella di altri giovani, riconoscendo in me un poliziotto “veramente al servizio della gente” e una persona “di gran cuore e rispetto”.
All’epoca dei fatti avevo poco più di 20 anni e sono fiero di essere stato un poliziotto così … veramente al servizio della gente
Ecco il messaggio facebook che Aureliano Steccanella mi ha inviato.
Caro Sergio, finalmente, dopo tanti anni, sono riuscito a trovarti.
Ho sentito sbalordito alcune vicissitudini che ti hanno costretto ad abbandonare la polizia.
Ricordo quando prestavi servizio a Verona, sei stato un grande.
Una persona di gran cuore e rispetto … sia per la divisa che orgogliosamente indossavi, sia come uomo.
Ciò che hai fatto per noi, ragazzi un po’ sbandati a quel tempo, è rimasto sempre impresso nella mia memoria.
La tua amicizia, la tua dedizione per le cose giuste, per la verità, per il rispetto, sono ancora un esempio per me che ormai ho 47 anni.
Sono felice di averti ritrovato e constatare che, nonostante tutto, stai bene.
Non ti ho mai dimenticato.
Persone come te sono rare e avere la fortuna d’averle incontrate e conosciute, è sempre un onore.
Grazie per come sei.
6 agosto 2015 Con affetto, Aureliano Steccanella.
In momenti come questi, leggere le parole di chi mi ha conosciuto durante quegli anni è una consolazione.
A volte, le voci calunniose possono offuscare la verità, ma non riescono a cancellare i ricordi di chi ha visto da vicino cosa significava per me indossare la divisa con onore.
Avere questa lettera è, in un certo senso, una rivincita morale: mostra che chi mi ha calunniato non ha mai potuto macchiare il ricordo positivo che ho lasciato in persone come Aureliano.
Citare questo messaggio è un modo per riaffermare il miei valori e smentire tutte le dicerie che ex colleghi o delatori hanno cercato di diffondere.
Ho riflettuto sul motivo per cui ho scelto di servire come poliziotto e sui valori che guidavano il mio operato.
Questo contrasterebbe con la condotta di chi invece ha cercato di piegarmi ai propri interessi.
Le parole di chi mi ha apprezzato rappresentano il vero lascito della mia carriera, che resta per me fonte di orgoglio.
Costretto a trasferirmi, nel 1986 denunciavo per peculato e contrabbando un Vice Questore, un Maresciallo e due Appuntati mentre mi trovavo in servizio al Settore di Polizia di Frontiera terrestre di Bolzano – Commissariato di Malles Venosta (Bz).
Le controdeduzioni, accettate dal Procuratore di Bolzano Mario Martin (credo si chiamasse così), che replicava alla mia descrizione dei fatti con cui erano stati commessi quegli illeciti erano assurde e mendaci.
L’auto di servizio usata, in forza al commissariato e presa in prestito dai denunciati, sarebbe risultata in avaria da oltre un mese e ferma all’Autocentro di Bolzano col motore fuso.
Un fatto contestabilissimo e confutabile se solo avessero voluto credere.
Avevo chiesto io il trasferimento in quel posto, e all’inizio sembrava un’opportunità per ricominciare, per mettere finalmente alle spalle le difficoltà e i conflitti degli anni precedenti.
Ma ben presto capii che le ombre di quel sistema guasto non si erano mai realmente allontanate.
Sapevo che fare nomi e cognomi significava mettermi in pericolo, ma la coscienza mi impediva di girarmi dall’altra parte.
Non potevo rimanere in silenzio.
Ecco così l’immediata e violenta reazione dei superiori.
L’uso sistematico dei procedimenti disciplinari come arma per fiaccare la mia resistenza, rendendo chiaro che questa persecuzione non era casuale ma mirata a distruggermi psicologicamente e finanziariamente.
Riesplodeva così una inaudita, cinica e vessatoria opera di ritorsione contro di me, posta in essere da molti superiori soprattutto con l’abuso dello strumento disciplinare e a fronte della quale potevo solo “levare lo scudo” dei ricorsi amministrativi.
In sostanza ero costretto a difendermi in moltissimi procedimenti disciplinari, per i più dannosi dei quali ricorrevo in sede giurisdizionale.
Si consideri che vivendo e traendo il mio sostentamento dallo stipendio, mia unica fonte di reddito, mi era impossibile oppormi a tutte le sanzioni disciplinari per una mera questione economica.
Infatti, come un orologio ben sincronizzato, le sanzioni iniziarono a sommarsi una dopo l’altra.
Ogni atto di insubordinazione inventato, ogni piccolo errore amplificato.
I procedimenti disciplinari erano uno strumento per tenermi in scacco, un’arma che i superiori usavano senza esitazione e per costruire un castello accusatorio per motivare la mia successiva destituzione.
Volevo difendermi con i mezzi a mia disposizione, come i ricorsi amministrativi, ma il peso economico di questa lotta era insostenibile.
Ogni nuova sanzione era un colpo, e ogni giorno trascorso a difendermi era una ferita invisibile.
Ma dentro di me resisteva una fiamma, una convinzione ostinata: quella che la verità, alla fine, avrebbe trovato il suo cammino e nonostante tutto, non ho mai abbandonato i miei valori e la mia integrità.
Destituito una prima volta nel 1987 e poi riassunto in servizio con ordinanza del TAR Lazio, consolidata da una successiva ordinanza del Consiglio di Stato, nonché dalla consecutiva sentenza in mio favore dello stesso tribunale amministrativo, venivo trasferito a Nettuno (Roma) presso il Centro di addestramento per Sovrintendenti e perfezionamento per Ispettori della Polizia di Stato dove, come vincitore di concorso interno, concludevo l’addestramento per la nomina a Vice Sovrintendente, costretto ad abbandonare l’ultimo giorno di corso, perché destituito.
Non potevo accettare che la mia carriera finisse così, e con la forza della ragione e del diritto, il TAR del Lazio mi restituì il posto che avevo meritato.
Mio malgrado entravo in graduatoria come ultimo fra quasi un migliaio di colleghi, (si consideri tutto l’aspetto retributivo legato alla posizione di qualifica).
Nonostante avessi vinto la battaglia legale, mi trovai comunque all’ultimo posto in graduatoria, quasi come se il sistema mi volesse ricordare costantemente il mio ‘posto’ secondo loro.
Il mio ritorno in servizio e il trasferimento a Nettuno, dove, dopo essermi battuto per rientrare, affrontai quella permanenza con determinazione.
Dopo un periodo di alcuni mesi venivo trasferito in Calabria nell’istituendo XII° Reparto Mobile … da Malles Venosta (Bz) ai confini con l’Austria e la Svizzera, all’estremo sud, (io sono nativo di Vicenza e mi ero arruolato con reclutamento regionale).
Un viaggio dall’estremo nord all’estremo sud d’Italia, quasi una metafora della separazione da tutto ciò che mi era familiare, uno strappo che rappresentava un’ulteriore forma di punizione.
Il trasferimento era una sentenza, l’ennesima forma di punizione che avevo imparato a riconoscere.
Il sistema sembrava intenzionato a farmi pagare ogni scelta di giustizia, persino il diritto a restare vicino alle mie radici.
Ma, nonostante tutto, ho scelto di resistere rimanendo fedele ai miei principi.
Nel frattempo, il disagio professionale, legato alla lontananza da casa, dai miei affetti, dagli amici nonché dalle infrante aspettative personali era alimentato dai palesi e insistenti inviti ad abbandonare la polizia.
Ogni giorno di più, infatti, ero destinatario di una vessante persecuzione posta in essere con l’abuso dello strumento disciplinare ma anche con una miriade di azioni “mobbizzanti” … la mia qualifica di V. Sovrintendente non riconosciuta dai superiori, comandato in servizio agli ordini di sott’ordinati, atteggiamenti e provocazioni anche fisiche.
Intraprendevo anche la strada dell’attività sindacale nel vano tentativo di contrastare il crescente abuso ma, non servì a nulla … mai come in tale militanza durata molti anni, mi sono sentito così “venduto e tradito”.
La prima esperienza al S.I.U.L.P. (ero iscritto a tale sindacato quando denunciai i superiori a Malles).
La mia decisione di intraprendere l’attività sindacale è stata vissuta come una naturale reazione a quello che stavo subendo.
Il sindacato era per me una possibile fonte di supporto e giustizia, un luogo dove speravo di trovare compagni di battaglia.
Non servì neppure quando militai nel So.di Po., un sindacato autonomo di polizia nel quale ho svolto anche funzioni di segretario provinciale e regionale nonché consigliere nazionale.
Questo periodo della mia storia si fa ancora più complesso e intenso, vissuto in un crescendo di pressioni psicologiche e professionali che ho affrontato per rimanere fedele ai miei principi.
Ogni chilometro che mi separava dai miei affetti mi pesava sull’anima.
Era come se fossi stato esiliato non solo fisicamente, ma anche emotivamente, costretto a vivere in un limbo lontano da tutto ciò che mi era caro.
Venivo continuamente spinto a lasciare la polizia, un’incessante pressione fatta di commenti, provocazioni e mancanze di rispetto che miravano a minare la mia autostima e la mia dignità, soprattutto, come già detto, la mia qualifica di Vice Sovrintendente non veniva riconosciuta, costringendomi a eseguire ordini di servizio che mi obbligavano a sottopormi a sotto-ordinati.
Ogni tentativo di trovare sostegno era un’illusione che finiva col lasciarmi ancora più solo.
Eppure, nonostante tutto, dentro di me continuavo a credere che la mia lotta non fosse vana.
La mia integrità era l’unica cosa che nessuno avrebbe potuto sottrarmi.
Nel 1989 venivo trasferito alla Questura di Treviso ma il persistere di una sistematica e implacabile attività persecutoria mi trovava sempre impegnato a difendermi anche da fallaci, spudorate e assurde accuse trascinate anche innanzi alla giustizia penale e tutte decadute.
Ricordo in particolare la presunta diffamazione di un funzionario di polizia che avrei posto in essere attraverso un comunicato sindacale, (in tale documento non vi è alcun riferimento al dirigente che non conoscevo e che era giunto a Treviso solo da poco).
Ero accusato di qualcosa che non avevo mai detto, né scritto.
Ma in quel clima di ostilità, la verità sembrava avere poca importanza.
Ricordo anche che dalla Questura di Treviso ero stato inviato all’autocentro di polizia di Padova per fare gli esami per la patente motociclistica di polizia ma obiettai e protestai perché non era stato fatto alcun corso preparativo e con tale procedura sbrigativa si mancava del necessario addestramento per conseguire tale patente e la questione era davvero azzardata sia per gli operatori di polizia che per i Cittadini.
Mi veniva così revocata la patente di guida, ottenuta con esami regolari e non tramite la conversione da quella di polizia.
Nonostante il ricorso al TAR Veneto, ero costretto a sottopormi alla revisione della patente, dopo quasi due anni di attesa, (periodo nel quale, non potevo guidare).
Per due anni, mi venne tolta la libertà di guidare.
La patente, che avevo ottenuto con esami regolari, mi fu revocata in modo incomprensibile, costringendomi a dipendere dagli altri per ogni spostamento.
Era un’altra forma di controllo, un’altra catena invisibile ma potente che mi legava e limitava.
Quindi, anche dopo il trasferimento a Treviso ogni aspetto della mia vita, inclusa la mia libertà di movimento e la mia tranquillità personale, veniva condizionato da un costante assalto burocratico e disciplinare.
La mia vita era soffocata da una pressione continua, senza tregua.
Un vero e proprio “assalto” con comportamenti intrusivi e opprimenti nella mia vita privata e fuori servizio, da parte del vice questore aggiunto Giuseppe Corsi, raggiunto anche a Vicenza, mentre mi trovavo in compagnia di amici in un bar, poi presso la mia abitazione.
Ricordo una sera, ero a casa di un amico, e improvvisamente qualcuno bussò alla porta per consegnarmi una nuova notifica disciplinare.
Mi sentivo come un prigioniero della mia stessa vita, senza possibilità di sfuggire.
Era tale lo stillicidio di provocazioni e problemi creatimi sul posto di lavoro che avevo eletto domicilio legale presso lo studio di un avvocato per evitare di dovermi quotidianamente confrontare con le notifiche di nuovi procedimenti disciplinari.
Ecco una vera e propria escalation nella mia vicenda professionale.
Arrivare a Treviso doveva essere una nuova opportunità, un’occasione per concentrarmi sul mio dovere senza dovermi difendere.
Ma presto scoprii che quel trasferimento non era una fuga dall’oppressione, bensì la continuazione di un incubo che sembrava non avere mai fine.
Nonostante tutto questo cambiai, rafforzando in me un senso di sfiducia nelle istituzioni che avrebbero dovuto difendere i loro uomini.
Talvolta non mi capacitavo di come riuscivo ad affrontare e superare le difficoltà, adattandomi nel miglior modo possibile a situazioni avverse o stressanti.
La tormentata quotidianità professionale, comunque, non intaccava il mio senso del dovere e la mia professionalità.
Credo di aver resistito agli ostacoli, ma ho anche imparato da queste esperienze, sviluppando nuove risorse interne e rafforzando le mie capacità, poi sfociate, una volta subita la destituzione dalla polizia, nella fondazione del Movimento de Liberasione Nasionale del Popolo Veneto, ma questo è un altro capitolo della mia vita.
Raggiungevo la qualifica di Ispettore e, per una serie di contestabili ragioni, non quella di Ispettore Capo, Superiore e Sostituto Commissario, come i colleghi di pari/corso.
La professionalità, ma vorrei anche dire la passione che ho sempre avuto per tale lavoro, era confortata dal sostegno di molti cittadini di Treviso che con petizioni (anche di 150 firme), evidenziava il contrastato giudizio dei miei superiori, per i quali, rimanevo probabilmente il peggior poliziotto.
A seguito anche di tali petizioni, il sindaco del capoluogo della Marca inviava una lettera di protesta al capo della polizia per il trattamento riservatomi e alla quale fece “eco” una ispezione ministeriale il cui Prefetto Ispettore, Lo Mastro Ciro, auspicava, assicurandomi in proposito, l’imminente trasferimento ad una sede di servizio richiesta inutilmente più volte gli anni precedenti.
Le sue conclusioni, inoltre, evidenziavano, in tutta la mia vicenda, non poche responsabilità da parte della stessa amministrazione di polizia.
Questo rappresentava per me un importante punto di svolta, mostrando come, nonostante le difficoltà e le persecuzioni, la mia dedizione al lavoro fosse riconosciuta dalla comunità locale.
Il supporto ricevuto dai cittadini di Treviso dimostrava l’impatto positivo del mio servizio, evidenziando il contrasto tra il giudizio negativo dei superiori e il rispetto che ispiravo nella gente comune.
Ecco il mio senso di integrità di fronte all’ostilità, e anche come una comunità intera si sia mobilitata in mio favore.
Il mio senso del dovere non veniva scalfito dalle difficoltà e dalle ingiustizie.
La professionalità e il mio attaccamento al lavoro mi hanno permesso di continuare a svolgere il servizio con impegno, nonostante l’ostilità da parte dell’amministrazione.
Ogni giorno, indipendentemente da ciò che mi veniva imposto o dalle pressioni che subivo, indossavo la divisa con lo stesso orgoglio e senso del dovere di sempre.
Perché, alla fine, il mio impegno era verso le persone, non verso un sistema che cercava di ostacolarmi.
Le promozioni mancate, mettevano in evidenza il divario tra il mio percorso e quello dei colleghi di pari corso.
L’amarezza nel vedere riconosciuto il mio impegno soltanto fino a un certo punto e di come, per “ragioni contestabili,” mi fosse stata negata una progressione di carriera che altri avevano ottenuto.
Ecco come venivano attuate strategie per limitare il mio sviluppo professionale.
Era frustrante vedere i colleghi avanzare, sapendo che anche per me quel percorso avrebbe dovuto essere naturale, se non fosse stato per quelle motivazioni non dette, ma sempre presenti, che bloccavano la mia crescita.
La gratitudine e l’orgoglio che provavo per il sostegno ricevuto dai cittadini di Treviso era un’innegabile segno che il mio lavoro era apprezzato e riconosciuto dalla comunità, nonostante il contrastante parere di taluni colleghi e dei miei superiori, che probabilmente continuavano a considerarmi un “problema.”
Era come se la gente comune vedesse quello che l’amministrazione ignorava, confermando che il mio impegno non era passato inosservato.”
L’intervento del Sindaco di Treviso, ha mostrato che la mia situazione non passava inosservata e che anche figure istituzionali iniziavano a chiedere chiarimenti.
Tutto ciò conferiva forza alle mie vicissitudini, dimostrando come il mio caso fosse significativo non solo per i cittadini, ma anche per le istituzioni locali.
Non mi aspettavo il supporto del sindaco, ma quando venni a sapere della sua lettera al capo della Polizia, sentii per la prima volta che forse la giustizia stava trovando una strada.
Il fatto che anche le istituzioni locali vedessero l’ingiustizia che subivo mi diede nuova speranza, un segno che la mia lotta non era del tutto ignorata
L’ispezione ministeriale del Prefetto Lo Mastro rappresentò un barlume di speranza.
Per la prima volta, un’autorità interna sembrava prendere in considerazione la mia vicenda con obiettività, riconoscendo le responsabilità dell’amministrazione e promettendomi un trasferimento in una sede che avevo richiesto molte volte.
Questo dualismo permetteva in ogni caso di mettere in risalto la natura complessa e dolorosa della mia situazione, ma anche di confermare che il mio lavoro era davvero apprezzato da chi ne beneficiava ogni giorno.
La mia professione non era più solo un dovere, ma una missione, anche se sapevo di essere considerato ‘il peggior poliziotto’ dai miei superiori, restava la certezza che per molti altri non ero altro che un servitore onesto e appassionato della giustizia.
Il mio amore per la giustizia e il mio senso del dovere restavano intatti.
Anche se l’amministrazione non riconosceva il valore di tutto ciò, il rispetto e il sostegno della comunità civile mi davano la forza per continuare a lottare.
Alla promessa del Prefetto ispettore Lo Mastro, di trasferirmi in una sede che inutilmente più volte avevo chiesto, seguì l’ennesima macchinazione posta in essere da alcuni colleghi che chiedevano il mio allontanamento dalla Sezione Volanti, dove ero impegnato, per calunniose divergenze, lamentando miei abusi nei confronti dei colleghi e dei Cittadini.
I calunniatori arrivarono persino a minacciare “le vie di fatto” se non si fosse intrapreso un simile provvedimento.
Il Ministero dell’Interno avviò così una procedura per il mio allontanamento dalla sede di Treviso, a non meglio specificate destinazioni, giustificando l’incompatibilità ambientale, condizione di solito avviata per questioni di giustizia o di comportamenti illeciti o lesivi dell’etica e dell’onore durante il servizio.
Mi opposi inutilmente con una denuncia in Procura contro tale calunnia che venne subito tentata per sabotare il mio trasferimento.
La mia denuncia, però, non portò a nessun effetto.
Come sempre, il sistema reagiva con indifferenza e implacabile ostilità.
Il fatto che il Ministero fosse costretto a congelare tale trasferimento dopo il mio intervento evidenziava come il sistema cercasse di ridurre al minimo il danno, ma non senza nuove difficoltà per me.
Rimanevo dunque a Treviso ma trasferito, dalla sezione volanti, alla Divisione Anticrimine della Questura.
Ma il trattamento che vi trovai era ancora più degradante.
Avevo la qualifica di Ispettore, ma non mi veniva fornita nemmeno una sedia, una scrivania, un telefono.
Non c’era neppure una penna a disposizione.
Ogni giorno mi ritrovavo a combattere non solo contro le accuse infondate, ma anche contro una vera e propria emarginazione professionale.
La frustrazione e il malessere divennero il mio pane quotidiano.
Era tale la frustrazione che accusavo malessere ogni volta che venivo avvicinato da superiori per delle contestazioni.
Nel dicembre del 1998, dopo aver sopportato oltre misura le angherie quotidiane e la pressione psicologica, non potei più resistere.
Consegnai il distintivo e l’armamento, non per paura, ma per difendere la mia dignità e la mia salute.
Scrissi una denuncia ufficiale al mio dirigente e all’Ufficio sanitario della Questura, mettendo nero su bianco la gravità della situazione e il danno che stava causando al mio equilibrio psicofisico.
Il medico di polizia mi certificò uno stato d’ansia generalizzato con sei giorni di prognosi.”
Era per me insostenibile la situazione e come, purtroppo, la mia integrità fosse messa a dura prova dalle istituzioni stesse che avrebbero dovuto proteggermi.
Ecco così segnato il culmine della mia resistenza.
La mia decisione di consegnare distintivo e armamento è stata una reazione estremamente umana a una condizione insostenibile, ma anche un atto di grande coraggio.
La certificazione sanitaria diventava così un riconoscimento ufficiale di ciò che già avevo denunciato, ma anche una conferma che il sistema, purtroppo, non mi stava sostenendo come avrebbe dovuto.
Ed era frustrante essere ignorato dalle autorità, nonostante la mia situazione fosse così grave e palese.
La mia lotta non solo contro le ingiustizie professionali, ma anche contro la cecità delle istituzioni, emerge in tutta la sua drammaticità.
Eppure, nonostante le certificazioni, le denunce, e la sofferenza che mi consumava giorno dopo giorno, la mia condizione veniva ignorata.
Non c’era spazio per la mia voce in un sistema che sembrava più preoccupato di reprimere che di ascoltare.
Ogni giorno che passava sentivo il peso di quella solitudine e del tradimento da parte di un’amministrazione che mi aveva abbandonato.
Compresi come a quel punto la lotta non riguardava più solo il mio onore o la mia carriera.
Era una questione di sopravvivenza.
Dovevo fare una scelta: continuare a lottare contro un sistema che mi stava distruggendo, o fermarmi per cercare di ricostruire la mia vita e la mia serenità mentale.
La decisione che presi quella mattina fu dolorosa, ma necessaria.
Mi rivolgevo nel frattempo alla struttura sanitaria pubblica effettuando una successiva visita specialistica.
Tale visita confermava il malessere dipendente dalla situazione ambientale lavorativa, prolungandone il mio allontanamento dal posto di lavoro per un periodo di alcuni mesi.
Era chiaro, a quel punto, che il referto dello specialista della USL di Treviso, denotava lo stress occupazionale al quale ero sottoposto e pertanto rafforzava la mia denuncia scritta con la quale mi ero rifiutato di proseguire il servizio in tali condizioni.
Proprio per questo, infatti, mi veniva notificata l’ennesima contestazione di addebiti, con proposta di destituzione dal servizio (licenziamento).
Venivo accusato di mancata presentazione all’ospedale militare di Udine, per la visita di idoneità al servizio al termine del periodo di malattia.
In sostanza, tentavano di ignorare lo scomodo referto dello specialista dell’USL, asserendo che avrei disatteso la disposizione di presentarmi all’ospedale militare.
Il sanitario di polizia, in realtà, produceva un nuovo e diverso certificato medico relativo ai sei giorni di malattia assegnatemi, asserendo di avermene concessi solo cinque.
La mia sofferenza e il mio malessere sono confermati non solo dalla medicina ufficiale, ma anche ignorati e manipolati da chi mi stava perseguitando.
Il contrasto tra il mio tentativo di cercare aiuto e le risposte dell’amministrazione diventava sempre più evidente, rivelando l’assurdità del sistema che stava cercando di cancellarmi.
Dopo aver preso la decisione di rivolgermi a una struttura sanitaria pubblica per una visita specialistica, il risultato della diagnosi diventava così una prova inconfutabile dello stress e del danno psicologico derivante dalla mia situazione lavorativa.
Questa visita aggiunse peso alla mia denuncia, ma non sembrò fermare l’onda di abusi che mi stava travolgendo.
Ignorando il referto medico che attestava il danno subito, l’amministrazione, alla quale avevo notificato subito il documento per dare continuità ai sei giorni assegnatemi dal medico di polizia, cercò comunque di reagire con una nuova contestazione, accusa e proposta di destituzione.
Questo dimostra come ogni passo che compivo per difendermi veniva affrontato con ostilità e manipolazione.
E’ palese che la contestata mia mancata presentazione all’ospedale militare di Udine per una visita di idoneità, alla fine del mio periodo di malattia era incompatibile con la diagnosi dello specialista sanitario pubblico.
Ciò che tentavano di nascondere era il fatto che il referto dello specialista dell’USL fosse troppo scomodo, e cercavano di annullare la mia denuncia, ignorando la reale condizione psicologica e fisica che avevo denunciato.
È questo un tentativo di manipolazione e distorsione della verità attraverso l’uso di un nuovo certificato medico, facendo sembrare che io avessi violato le disposizioni senza considerare la gravità della malattia.
La mia condizione era trattata con disprezzo, e la burocrazia sembrava essere più importante della mia salute.
Il sanitario di polizia, infatti, invece di prendere atto della mia condizione, produsse un nuovo certificato medico che contraddiceva il precedente referto, dichiarando che mi erano stati concessi solo cinque giorni di malattia, e non sei.
Un giorno in meno sul referto, infatti, non dava continuità al periodo di malattia che, nel frattempo, si era protratta con la certificazione sanitaria dello specialista dell’USL e che puntualmente avevo provveduto a notificare alla Questura stessa.
Smascheravo l’inganno, dimostrando di essere in possesso di una copia del primo certificato medico e sfumata la possibilità di perseguirmi disciplinarmente in tal senso, ignorando la responsabilità del sanitario di polizia, che non veniva deferito all’Autorità Giudiziaria o ad una commissione disciplinare, veniva promossa a mio carico una ulteriore contestazione … (questo documento era pubblicato in tale atto e messo a confronto con il vero e primo certificato medico del sanitario di polizia con quello prodotto in un secondo momento con un giorno in meno per tentare di accusarmi di non essermi presentato all’ospedale militare … il documento fotografico anche precedentemente pubblicato sul mio sito e conservato in atti è letteralmente sparito a seguito delle subite e pretestuose perquisizioni nella mia abitazione, sul posto di lavoro e nella sede del MLNV, da parte degli ex colleghi).
Questo è un vero e proprio atto di sabotaggio che si aggiungeva a una lunga serie di azioni messe in atto per annientare qualsiasi difesa che potessi opporre.
Il tentativo di manipolare il certificato medico per minare la mia posizione si scontra con la mia determinazione a smascherare la falsità.
Ho rivelato l’inganno, ma ho mostrato anche che il sistema non si fermava nemmeno di fronte alla verità, continuando a insistere nel colpirmi ingiustamente.
Il processo di manipolazione e del doloso fallimento del sistema nell’ascoltarmi, era disumano.
Il sistema non vedeva più una persona che aveva dato tanto per il suo lavoro, ma solo un ostacolo da eliminare.
Ciò che più feriva non era solo l’ennesimo abuso da parte dell’amministrazione, ma l’indifferenza con cui venivano trattati i miei diritti e la mia salute.
Non ero più considerato un uomo, ma un ostacolo da rimuovere.
L’unico scopo sembrava essere quello di mettere in discussione ogni passo che facevo, ogni denuncia che presentavo, ogni provvedimento che tentavo di ottenere per salvaguardare la mia integrità.
Il sistema non voleva ascoltarmi.
Ogni tentativo di difendermi veniva minato dalle azioni ostili e disoneste dei superiori, che preferivano ignorare la verità per salvaguardare una macchina che funzionava solo a discapito di chi cercava giustizia.
Era chiaro che il mio caso era solo un piccolo ingranaggio in un meccanismo che non voleva fermarsi per ascoltare.
La verità era chiara a tutti, ma nessuno voleva vederla.
Sulle ceneri del precedente tentativo, nasceva così l’ennesimo procedimento disciplinare.
Se prima venivo accusato di non essermi presentato all’ospedale militare, ora venivo accusato di essermi rifiutato di dare il consenso alle visite di idoneità al servizio.
L’assurdità e la falsità di una simile accusa è ampiamente documentata negli atti di quasi un anno di malattia protrattosi per fare questa visita che “inspiegabilmente” l’ospedale miliare di Udine ritardava a farmi.
Ecco che, anche quando un tentativo di accusa fallisce, ne viene creato subito un altro, stavolta addossandomi la colpa di rifiutare le visite mediche necessarie per il rientro in servizio.
Nonostante tutto, la falsità e l’assurdità di questa accusa erano facilmente dimostrabili.
La nuova accusa di essermi rifiutato di dare il consenso alle visite di idoneità al servizio era totalmente infondata, poiché la documentazione dimostrava ampiamente che il mio periodo di malattia si era prolungato solo a causa del ritardo delle visite da parte dell’ospedale militare di Udine, che, inspiegabilmente, non faceva.
Mentre il sistema tentava di distruggere la mia credibilità, io continuavo a lottare per proteggere la mia dignità.
La frustrazione per la continua persecuzione alimentava una sensazione di impotenza, ma anche di determinazione a non arrendermi.
Quella che si stava costruendo attorno a me era una realtà parallela, in cui ogni mia azione, anche quella più naturale, veniva distorta per farmi apparire come colpevole.
Era come se non fossi più un essere umano, ma un bersaglio in un gioco spietato dove la verità non aveva importanza.
Ecco che la lotta contro l’abuso di potere e la manipolazione dei fatti diventava centrale, mostrando la mia resilienza nonostante il sistema cercasse costantemente di distruggermi.
Nell’evolversi dei fatti, più volte avevo inutilmente richiesto copia della mia documentazione sanitaria ma, solo dopo aver notificato una diffida a mezzo ufficiali giudiziari, ottenevo parte di essa dall’ospedale militare di Verona di II ^ istanza, commissione alla quale avevo fatto appello contro la decisione del collegio medico militare di Udine.
Questi atti confermavano i miei sospetti.
Infatti, nonostante il contrastante giudizio dello specialista da loro stessi incaricato, la commissione dell’ospedale militare di Verona mi rinviava a quella di Udine confermandone l’ulteriore periodo di inidoneità.
Così, se il mio rientro in servizio attivo in polizia era reclamato dal giudizio favorevole di due specialisti, una vergognosa inerzia degli organi medico/legali dell’ospedale militare di Udine ne osteggiava il compimento.
Inutili e ripetuti rinvii di tale visita si trascinavano da mesi quando, accampando il pretesto di ulteriori imprecisati accertamenti clinici, di natura psichiatrica, pretendevano il mio consenso per ulteriori analisi e per il ricovero presso non meglio precisate strutture sanitarie.
Ancora una volta chiedevo spiegazioni.
Infatti, non mi era chiaro, come non lo è tutt’ora, il motivo per cui, dopo mesi di rinvii, ora mi veniva chiesto un consenso per delle visite di idoneità al servizio che per prassi ero obbligato a fare.
Mi presentavo infine con un testimone provocando la reazione della commissione medica dell’ospedale militare di Udine.
Questa, dopo aver intimidito il mio osservatore, tentava di fare altrettanto con me accusandomi d aver introdotto un civile in una struttura militare e chiamando, con risibile risultato, una pattuglia di carabinieri per identificare l’intrusa.
Solo a dicembre 1999 riuscivo finalmente a fare la visita di idoneità al servizio.
Il lungo periodo di frustrazione e ostacoli ha accumulato un risentimento che non poteva essere comunque ignorato.
Il contrasto tra il lungo periodo di attesa e la mia determinazione a rientrare in servizio evidenziava così la lentezza e l’incapacità delle istituzioni di gestire una situazione in modo umano.
La mia perseveranza nel cercare giustizia, la lentezza e l’ostruzionismo delle istituzioni svelavano un’artificiosa e asfissiante burocrazia e le intimidazioni a cui ero stato sottoposto.
La frustrazione cresceva mentre la mia richiesta di giustizia e di normalità veniva ostacolata da pretesti e azioni punitive.
Anche la mia lotta per ottenere la documentazione sanitaria diventava una vera e propria battaglia legale.
La burocrazia e il muro di silenzio erano evidenti, ma non mi arrendevo.
Le difficoltà nel ricevere la documentazione, nonostante i miei tentativi legittimi, rafforzavano il senso di ingiustizia e di manipolazione delle informazioni a mio danno.
Per mesi avevo richiesto, senza successo, copia della mia documentazione sanitaria, ma solo dopo aver inviato una diffida tramite ufficiali giudiziari, l’ospedale militare di Verona rispondeva, inviandomi parzialmente la documentazione che avevo richiesto.
Questi atti confermavano finalmente ciò che avevo sempre sospettato.
Il giudizio favorevole della specialista esterna dell’USL, incaricato dall’ospedale militare di Verona, confermava la mia idoneità al servizio, ma l’ospedale militare di Udine continuava a ritardare e a ostacolare il mio rientro in servizio.
L’inerzia degli organi competenti sembrava più un tentativo di stancarmi che di esaminare seriamente la mia situazione.
Nonostante avessi già avuto un parere favorevole, la commissione di Udine continuava a ritardare, addirittura accampando scuse improbabili per ulteriori esami e analisi, tra cui la psichiatria.
Sebbene il parere positivo della specialista esterna dell’USL e le evidenti prove della mia idoneità al rientro in servizio, la commissione dell’ospedale di Udine ostacolava il mio rientro, addirittura accampando il pretesto di accertamenti psichiatrici.
Mi chiedevano un consenso per visite che, secondo la prassi, avrei dovuto sostenere da tempo.
Perché, mi chiedevo, dopo mesi di rinvii, ora pretendevano una visita psichiatrica?
La risposta non era mai chiara e il ritardo si prolungava.
Tutto questo processo non solo minava la mia carriera, ma anche la mia salute psicologica.
Il peso dei rinvii e delle accuse infondate, insieme al costante stress, mi hanno portato a una situazione limite.
Credo che tutto questo evidenzi la lotta incessante contro l’indifferenza e la cattiveria di un sistema che mi ha costretto a lottare non solo per il mio lavoro, ma anche per la mia dignità e la mia salute.
La C.M.O. di Udine, però respingeva la mia idoneità certificando addirittura altri sei mesi di malattia ai quali mi opponevo tornando in II ^ istanza all’ospedale militare di Verona.
Qui, incredibilmente, tale giudizio veniva ribaltato ed essendo idoneo, riammesso in servizio poco tempo dopo.
La C.M.O. di Udine, nonostante il parere favorevole di Verona, continuava a respingere la mia idoneità, prolungando ulteriormente la mia malattia, come se fosse una strategia per ritardare l’ineluttabile.
Poi, incredibilmente, a Verona il giudizio veniva ribaltato.
Riammesso in servizio, ma la guerra continua, come se non fosse mai finita.
Ma finalmente, nonostante tutto, avevo ottenuto ciò che avevo cercato da mesi: la possibilità di tornare a fare il mio lavoro.
Dopo una serie di altre vicissitudini professionali, periodi di sospensione dal servizio per precedenti sanzioni disciplinari e addirittura percosse fisiche da me subite ad opera di superiori e inutilmente denunciate, venivo destituito con la motivazione assurda di essermi rifiutato di dare il consenso alle visite alla C.M.O. di Udine avendo provocato, con ciò, grave pregiudizio all’amministrazione di appartenenza.
Essere destituito dalla Polizia di Stato non fu solo una conclusione dolorosa di un capitolo importante della mia vita, ma una ferita profonda, difficile da rimarginare.
Quel giorno rimane inciso nella mia memoria, non solo per l’umiliazione subita, ma anche per la determinazione con cui scelsi di affrontarlo.
Quando mi fu notificato il decreto di destituzione, decisi di non restare in silenzio.
Chiesi con fermezza che fosse messo a verbale il mio pensiero: dichiarai che non riconoscevo più quell’amministrazione di polizia né la loro autorità.
Quel giuramento solenne che avevo fatto anni prima, il legame sacro con i valori di giustizia e legalità che mi avevano spinto ad arruolarmi, per me era ormai nullo.
Non per mia scelta, ma perché proprio quell’amministrazione aveva tradito le stesse regole e leggi che io avevo giurato di servire.
Quella giornata fu per me un punto di non ritorno.
Non fu solo la fine della mia carriera nella Polizia di Stato, ma il momento in cui scelsi di non piegarmi all’ingiustizia.
Ero stato ferito, sì, ma non spezzato.
Quella dichiarazione, messa nero su bianco, non era solo una difesa personale: era un atto di libertà, una riaffermazione della mia integrità, anche di fronte a chi voleva annientarla.
Il ricorso al Tar del Lazio ha avuto esito favorevole ma il Ministero dell’Interno si opponeva con un’ultetiore ricorso al Consiglio di Stato (tanto mica paga l’Amministrazione … usano i soldi dei contribuenti … a differenza dei poliziotti che devono opporsi e che si devono arrangiare).
Dopo pochi mesi, il Consiglio di Stato emetteva sentenza senza che il mio legale si fosse costituito in giudizio e con un’udienza senza la presenza dell’avvocatura generale dello stato (per il Ministero) e dell’ avvocato difensore (per me).
In questi anni di servizio ho constatato dal vivo e sulla mia pelle la difficoltà a combattere su due fronti … quello “esterno” e “naturale” della criminalità e quello “interno” ancor più subdolo e talvolta cruento, fatto di soprusi, vessazioni, imbrogli, calunnie, intimidazioni al pari di quelle mafiose, mancanza del rispetto delle regole, delle leggi, del senso dell’onore e di quei valori che troppe volte ho visto spegnersi con la vita di colleghi caduti in servizio per una Patria che non ha la forza e il coraggio di liberarsi da questa corruzione anche morale.
Il contrasto tra il fronte esterno, quello della criminalità, e quello interno, che rappresenta la burocrazia corrotta e i soprusi, è stato come trovarsi in trincea non solo contro i criminali, ma anche contro il sistema che avrebbe dovuto proteggermi.
Ma l’Italia ha dimostrato di essere anche tutto questo e solo dopo alcuni anni dalla mia ingiusta destituzione dalla polizia di stato ne ho scoperte le ragioni.
Ecco, questa è la mia denuncia che faccio dopo aver resistito anni anche con l’inutile ricerca di Giustizia.
Questa mia testimonianza non sia vana e dimostri come le forze che dovrebbero tutelare i cittadini a volte siano quelle stesse che, attraverso abusi di potere e disfunzioni interne, infliggono danni agli onesti.
—
Da quando fui destituito dalla Polizia di Stato passo un po’ di tempo.
Ricordo nitidamente il giorno in cui riuscii a contattare il Capo di Gabinetto del Ministro delle Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, durante il Governo Berlusconi che stava svolgendo una ricerca sui casi mobbing nella Pubblica Amminstrazione.
La voce era ferma, decisa, di una donna che sembrava sapere ciò che faceva.
Mi invitò a Roma e non persi tempo.
Mi presentai nella capitale italiana insieme a mio fratello e a un amico.
La donna, il cui nome purtroppo si è perso nella memoria, sembrava genuinamente interessata.
Ascoltò con attenzione la mia storia, studiò i documenti che avevo portato e si mostrò decisa a fare luce sulla vicenda.
Mi colpì il suo atteggiamento: non solo professionalità, ma anche una profonda umanità.
Mi rassicurò dicendo che avrebbe approfondito, contattando persino le autorità di Treviso per chiarire la situazione.
Ci lasciammo con la promessa di risentirci entro una settimana.
Nonostante le difficoltà del momento, sentii nascere dentro di me una tenue speranza, come se finalmente ci fosse qualcuno disposto a combattere quella battaglia insieme a me.
Passarono i giorni, poi la settimana concordata.
Cercai di contattarla, ma senza successo.
Alla fine, riuscii a parlare con qualcuno: un uomo.
Si presentò come il nuovo referente della ricerca e, senza troppi giri di parole, mi informò che la donna era stata trasferita.
Non solo: mi disse chiaramente che non era il caso di cercarla e che non avrebbe proseguito negli accertamenti avviati dal suo predecessore.
La telefonata si concluse in modo secco.
Quell’episodio mi insegnò molto, soprattutto sulla fragilità delle istituzioni e sulla difficoltà di far valere i propri diritti in un sistema che, troppo spesso, si rivela impermeabile al cambiamento.
Ma, allo stesso tempo, mi spinse a non mollare, a continuare la mia battaglia, anche quando la strada sembrava del tutto in salita.
—
Inoltre, come già da se stesso dichiarato negli atti prodotti è persona Veneta in cittadinanza e nazionalità, quindi non italiana e oltretutto autodeterminata sotto l’egida del Movimento de Liberasione Nasionale del Popolo Veneto, soggetto giuridico previsto dalle norme del Diritto Internazionale e avente potere al pari di uno Stato visto che, sempre per legge internazionale, esso deve dotarsi di un Apparato Istituzionale (nel nostro caso il GVP).
PREMESSO CHE
formalizzando i predetti ei successivi atti ha respinto, secondo le norme dell’U.C.C., tutte le azioni prodotte, nel caso in specie, dalle Autorità d’occupazione dello Stato straniero italiano, che altresì, non sono stati confutati nei termini previsti anche dalle norme dell’U.C.C. .
Allo scopo si precisa che tutte le SPN pervenute alla PNV e i RDN non sono dei ricorsi posti in essere in ambito italiano e sono atti espressioni di volontà attraverso i quali i Cittadini del Popolo Veneto, che liberamente e coscientemente si sono autodeterminati e hanno dichiarato la propria Nazionalità e Cittadinanza Veneta sotto l’egida di questo MLNV-GVP, si oppongono all’esercizio di qualsiasi attività che ritengono illegale anche da parte di autorità e forze militari e/o di polizia italiane operanti in difetto assoluto di giurisdizione nei Territori della Serenissima Patria, ovvero di violazioni, in proprio danno, di diritti umani, civili e politici, ovunque nel mondo e lo fa informando delle loro responsabilità i responsabili di tali violazioni, secondo le norme vigenti, anche riferite a quelle dell’U.C.C..
Per quanto di competenza, questo GVP viene attivato sul fronte dell’iscrizione a ruolo giudiziario dei responsabili che, secondo il denunciante, sono imputabili degli eventi e delle conseguenze derivanti dagli atti posti in essere in proprio danno.
CIO’ PREMESSO
01) – Si fa presente che nel diritto internazionale contemporaneo, l’annessione illegale di un territorio da parte di una potenza occupante si deve considerare privo di effetti giuridici.
02) – Fino al termine della prima guerra mondiale e alla messa al bando dell’uso della forza come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, l’annessione poteva essere la conseguenza legale della sconfitta militare e debellatio dell’avversario, ma certamente non è questo il caso della Serenissima Repubblica di Venezia.
03) – In passato, l’annessione poteva anche fare seguito all’occupazione militare di territori che non sono sotto sovranità di alcuno Stato (res nullius) ma certamente non è questo il caso della Serenissima Repubblica di Venezia.
04) – La Dichiarazione sulle relazioni amichevoli, adottata nel 1970 dall’AG dell’Onu con risoluzione 2625 (XXV), stabilisce con chiarezza che il territorio di uno Stato non sarà oggetto di acquisizione da parte di un altro Stato a seguito della minaccia o dell’uso della forza.
05) – La conquista non costituisce un titolo di acquisto della sovranità nel caso in cui il ricorso alla forza che ha portato all’occupazione è consentito dal diritto internazionale.
06) – Nel settore dell’uso della forza, l’affermazione del principio di autodeterminazione ha avuto una duplice conseguenza, da un lato, esso ha ampliato la portata del divieto di cui all’art.2 pag. 4, della Carta delle Nazioni Unite, proibendo agli Stati di ricorrere alla minaccia, o all’uso della forza contro il Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
07) – Dall’altra parte, i Movimenti di Liberazione in lotta per l’autodeterminazione hanno il diritto di ricorrere alla forza per reagire contro lo Stato che impedisce con la forza l’esercizio del diritto di autodeterminazione.
08) – La Repubblica Veneta oggi è di fatto occupata territorialmente, militarmente e amministrativamente da uno stato straniero che è l’Italia.
09) – Il Popolo Veneto “condivide” questa condizione di forzata sudditanza con la quasi totalità delle Nazioni degli altri Popoli presenti nella penisola italica ben prima dell’occupazione da parte dello stato straniero italiano.
10) – La sgradevole e insincera descrizione del risorgimento italiano è ancora oggi frutto di una mistificazione mirata a controllare le verità storiche da parte dello stato italiano … si pensi ad esempio alla contraddizione sui festeggiamenti per i 150 dell’unità d’italia 1861/2011 quando a quella data la stessa Roma non ne faceva ancora parte e le battaglie della terza guerra d’indipendenza vennero combattute nel 1866…. ben cinque anni dopo.
11) – La Repubblica di Venethia, di fatto, non ha mai cessato di esistere e il Popolo Veneto ha perso la propria sovranità causa il susseguirsi di occupazioni militari da parte di potenze straniere, nonostante la propria rivendicata neutralità ai conflitti in corso all’epoca dei fatti.
12) – Considerato pertanto che non esiste norma del diritto internazionale che prevede l’annessione violenta, militare o colonizzatrice di territori di una nazione da parte di una potenza straniera è diritto del Popolo Veneto tornare LIBERO e SOVRANO sui propri territori.
13) – Il bottino di una rapina è sempre un provento illecito anche a distanza di anni … e questa realtà è inconfutabile.
14) – Con imperialismo culturale si intende l’imposizione di una lingua e conseguentemente di una cultura da parte di uno stato (o gruppo etnico) nei confronti di un’altra.
15) – L’imperialismo si sviluppa e consiste nell’azione da parte dei governi ad imporre la propria egemonia su altri paesi per sfruttarli dal punto di vista economico assumendone il pieno controllo monopolistico delle fonti energetiche ed esportazione soprattutto di capitali.
COMPROVATO
16) – Che l’antica Repubblica Veneta, anche detta “Serenissima”, fondata nell’anno 697, non ha mai cessato di esistere e “de jure” è tutt’ora esistente su tutti i propri Territori.
17) – Che ogni Movimento di Liberazione Nazionale è l’organo deputato dal diritto internazionale a rivendicare il diritto all’autodeterminazione di un Popolo soggetto all’occupazione di uno stato straniero, ovvero da un regime razzista e/o colonialista.
18) – Che questo MOVIMENTO DE LIBERASIONE NASIONALE DEL POPOLO VENETO (MLNV), fondato il 29 settembre 2009, ha rivendicato il diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto con “denuncia di occupazione, dominazione e colonizzazione della Nazione Veneta da parte dello stato straniero italiano – Rivendicazione di sovranità del Popolo Veneto”, depositate presso la sede O.N.U. di Ginevra in data 28 settembre 2010 e presso la sede O.N.U. di New York il 27 novembre 2011.
19) – Che nessuna opposizione è mai stata avanzata contro la rivendicazione di sovranità di questo Popolo Veneto denunciata dal MLNV, né dallo stato occupante italiano né dall’ONU né da qualsiasi altro stato terzo.
20) – Che questo MLNV, così come disposto dal diritto internazionale, dovendo dotarsi di un apparato istituzionale ai sensi e per gli effetti dell’art.96.3 del Primo Protocollo aggiuntivo (1977) alla Convenzione di Ginevra del 1949, in data 4 febbraio 2012 ha così istituito il GOVERNO VENETO PROVISORIO (GVP).
21) – Che ogni Cittadino del Popolo Veneto che, in libertà di coscienza e volontà, ha dichiarato la propria sovranità come essere umano, di essere di nazionalità e richiedendo la cittadinanza Veneta e identificando come unica valida autorità sui territori occupati della Serenissima Patria il Governo Veneto Provvisorio (GVP) sotto l’egida di questo Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV, che con la pubblicazione all’Albo Ufficiale del GVP, avvenuta in data 15 maggio 2014, ha invalidato ogni notifica prodotta dalle autorità d’occupazione straniere italiane sui territori della Repubblica Veneta.
22) – Che ogni Cittadino del Popolo Veneto, al fine di assicurare l’ulteriore a praticarsi in seno alla Giustizia Veneta, chiede la pubblicazione sulla GAXETA UFFICIALE del Governo Veneto Provvisorio, con valore di notificazione, l’iscrizione a ruolo giudiziario dei responsabili dell’emissione di atti e della successiva eventuale loro notifica o tentativo.
OSSERVATO PERTANTO CHE OGNI CITTADINO DEL POPOLO VENETO.
23) – Ha pubblicamente espresso la capacità a manifestare validamente e coscientemente la propria volontà nel compimento di atti giuridici di cui è palesemente consapevole.
24) – Ha manifestamente pronunciato e notificato ad ogni autorità d’occupazione straniera italiana il proprio diritto a non essere costretto/a a eseguire alcunché in relazione a qualsiasi tipo di provvedimento da esso emanato.
25) – Non è suddito/a dello stato italiano e non è obbligato/a in alcun modo verso di esso.
26) – Come essere umano, manifestamente di nazionalità e cittadinanza Veneta, ha anche il dovere morale di opporsi ad ogni artifizio e inganno che lo induca ad essere reso in schiavitù o asservito in qualsivoglia maniera alle autorità d’occupazione straniere italiane.
27) – Non si identifica con l’imposta cittadinanza italiana e non si sente obbligato/a a riconoscere l’illegale giurisdizione dello stato straniero italiano.
28) – Ha manifestamente esercitato il diritto e potere di rappresentare se stesso/a.
29) – Si è riconosciuto Veneto per diritto naturale identificandosi nel Popolo Veneto quale comunità di Genti Venete liberamente accomunate da un duraturo sentimento di appartenenza, avente un riferimento comune ad una propria cultura, lingua e una propria tradizione storica e sviluppate su un territorio geograficamente determinato costituito dalle proprie terre d’origine.
30) – Si riconosce di Nazionalità Veneta quale espressione dell’identità del Popolo Veneto di cui sente e dichiara di far parte.
31) – Riconosce come la propria Nazionalità Veneta sia conforme e si manifesti con il concetto di Nazione, destinata a identificare, qualificare e valorizzare la pluralità della comunità dei Popoli universalmente intesa come Umanità.
APPURATO
32) – che in fatto e in diritto lo stato italiano sui Territori della Repubblica di Venezia rimane ad oggi uno stato straniero occupante, a nulla rilevando sotto il profilo della legittimazione dell’esercizio della sua sovranità sui Territori della Serenissima Patria gli anni di illecita e illegittima occupazione razzista e colonialista.
33) – Che secondo il principio consuetudinario del Diritto Internazionale uno Stato si estingue a livello internazionale solo quando si ha un mutamento rilevante di tutti e tre i suoi elementi costitutivi (territorio, popolazione e apparato di governo) e che tale requisito non si configura per il Popolo Veneto che non è estinto ma esiste tutt’oggi e reclama il proprio posto come Nazione fra le Nazioni.
34) – Che il Popolo Veneto è sottoposto al regime militare straniero nonostante faccia parte di uno Stato indipendente e comunque in possesso di uno status distinto da quello italiano.
PROVATA
35) – L’illegale e reiterata occupazione “ab origine” dei Territori della Sovrana Repubblica di Venezia, per la frode posta in essere contro il Popolo Veneto e con la quale il regno italico ha annesso “manu militari” i Territori della stessa.
36) – La reiterata e dolosa inosservanza e trasgressione del principio di autodeterminazione che rende nulli i trattati che, occupandosi di trasferimento di territori, non includono una disposizione che preveda una previa consultazione della popolazione interessata – (il “plebiscito” del 1866 è ben noto per essere stato una truffa nei confronti del Popolo Veneto perché la consultazione è avvenuta in stato di occupazione militare, con inganno e l’estorsione di una scelta non libera e già stabilita, anche nei falsi risultati resi pubblici prima ancora del suo concretarsi).
37) – La reiterata dolosa responsabilità di tutte le più alte cariche istituzionali italiane che insistentemente ignorano e disconoscono l’esistenza del Popolo Veneto e che anche per il tramite del loro massimo Organo di Giustizia hanno sentenziato che “il Popolo Veneto avrebbe cessato di esistere in virtù del Plebiscito del 1866, scegliendo di diventare popolo italiano” nonostante sia loro ben noto il falso storico di questo avvenimento, che di fatto è stato una frode commessa dal regno italiano, poi ammessa dallo stesso Conte Thaon di Revel, plenipotenziario del re d’italia di allora e responsabile dell’operazione, che ammise in un suo successivo memoriale, il raggiro commesso.
38) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con la conseguente condizione di messa in schiavitù di Esseri Umani in specie di Nazionalità Veneta per la reiterata dolosa inosservanza e trasgressione del diritto all’ autodeterminazione con valore “jus cogens”, di cui è detentore il Popolo Veneto.
39) – Non esiste prova documentata che ogni singola Persona di Nazionalità Veneta e/o che dichiari di far parte del Popolo Veneto sia un cittadino italiano e che abbia firmato un contratto regolarmente valido con l’entità correntemente identificata con il nome di “stato italiano” e che obblighi loro a seguire le sue emanazioni politiche, penali, civili, commerciali, fiscali, stradali e qualsivoglia altra sua norma.
40) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione della disposizione per cui lo stato occupante italiano non può disporre dell’utilizzo del territorio della Repubblica di Venezia e delle sue risorse naturali.
41) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione della disposizione che vieta allo stato occupante di stipulare accordi internazionali, relativi al territorio su cui è stanziato il Popolo Veneto, in particolare con la cessione di porzioni di esso a soggetti e sovranità straniera, (es. Eurogendfor – U.S.A. e altro).
42) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione della disposizione per cui gli stati che opprimono popoli soggetti a dominio coloniale, a occupazione militare straniera o a governo razzista, sono obbligati a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, in particolare a non impedire l’esercizio di questo diritto con mezzi coercitivi.
43) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione del divieto di cui all’art.2, par.4 della Carta delle Nazioni Unite, che proibisce agli Stati di ricorrere alla minaccia o all’uso della forza contro i Popoli che invocano il diritto all’Autodeterminazione.
44) – La reiterata dolosa inosservanza e trasgressione delle disposizioni per cui i Movimenti di Liberazione Nazionale sono destinatari delle norme sulla protezione e immunità degli individui che agiscono in nome e per conto loro.
45) – Dal 1934 l’allora Regno d’Italia è divenuto una CORPORATION con denominazione “REPUBLIC OF ITALY” CIK#: 0000052782” perché registrata presso la Securities Exchange Commission (S.E.C.) – (sec.gov), quale corporation di tipo governativo, ovvero una azienda privata spogliata di qualsiasi sovranità e che grazie alla registrazione alla S.E.C., l’attuale stato italiano è soggetto alle leggi e le regole internazionali anche dell’Uniform Commercial Code (U.C.C.), agendo anche per il tramite del proprio copyright, dimostrando che non agisce come stato di diritto (stato italia e/o Repubblica Italiana), ma in qualità di “Company” e/o “Corporation”, vale a dire “società Privata” iscritta alla S.E.C. .
PRESO ATTO
46) – Che il reiterarsi di tali illeciti, nel loro insieme, concorre a concretare il reale rischio del delitto di democidio nei confronti del Popolo Veneto in ragione dell’aberrante finalità politiche dello stato italiano tese alla sua cancellazione, soppressione ed estinzione.
47) – Che lo stesso stato straniero occupante razzista e colonialista italiano ha sancito l’illecita e illegale permanenza della sua occupazione sui Territori della Repubblica di Venezia con il decreto legislativo 13.12.2010, n. 212, in vigore dal 16 dicembre 2010, che ha espressamente abrogato a tutti gli effetti il regio decreto italiano 04.11.1866, n. 3300, “col quale le provincie della Venezia e di Mantova fanno parte integrante del regno d’italia.
RICHIAMANDOSI
48) – Alla “Denuncia di occupazione, dominazione e colonizzazione della Nazione Veneta da parte dello stato straniero italiano – Rivendicazione di sovranità del Popolo Veneto” di questo Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV) datata 27.09.2010 e depositata alla sede O.N.U. di Ginevra in data 28.09.2010 e alla sede O.N.U. di New York in data 27.11.2011.
49) – All’Ultimatum del MLNV datato 13.12.2010 e notificato allo stato straniero italiano e alla sede O.N.U. di Ginevra in data 14.12.2010 e alla sede O.N.U. di New York in data 27.11.2011.
50) – Atteso pertanto che il principio di legalità è applicabile al diritto di autodeterminazione per il Popolo Veneto e che tale diritto concreta il potere di esercitarlo nelle forme e modi contemplati.
QUESTO MLNV HA STABILITO CHE
51) – Nel dar seguito all’adempimento dei propri doveri che si è dato nei confronti della Serenissima Patria, rimanendo con inflessibile osservanza nell’alveo delle norme di diritto internazionale e uniformandosi al principio di stretta legalità.
52) – Ha il dovere di ripristinare la legalità su tutti i propri Territori.
53) – Di non usare violenza o di far uso della guerra di liberazione nonostante quest’ultima sia prevista e conforme alla legge.
54) – Disapprova e rifiuta l’illegale e imposta autorità delle istituzioni italiane.
55) – Riconosce l’esclusiva legalità a qualsiasi relazione e negozio giuridico che determina uguali doveri fra le parti riguardo anche all’illegale e illegittima possibilità e pretesa di asservimento e sottomissione in schiavitù in qualsivoglia maniera e forma di qualsiasi Persona umana.
56) – Tutti gli effetti di atti giuridici, sia pubblici che privati, recettizi e non, normativi e precettivi, discrezionali, dovuti e necessari, compresi quelli di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali siano essi unilaterali, bilaterali, plurilaterali e collegiali, e anche degli stessi negozi giuridici di diritto privato che si estrinsechino quali manifestazione di pensiero attraverso la parola, orale o scritta o altri segni, operazioni o atti materiali o atti reali, ossia comportamenti umani diversi dalle dichiarazioni che riguardino atti negoziali espressione di dichiarazioni di volontà o di conoscenza, di giudizio, di desiderio o d’autorità e d’imperio non possono produrre asservimento e sottomissione in schiavitù in qualsivoglia maniera e forma di qualsiasi Persona umana.
57) – La mancanza della prova documentale, da tempo dettagliatamente richiesta e che dimostri la legittima e legale pretesa anche di qualsivoglia riscossione di natura economica e/o fiscale intimata ad ogni Persona di nazionalità Veneta e/o che dichiari di far parte del Popolo Veneto non possono essere neppure condizionatamente accettate e produrre gli effetti che ne deriverebbero.
58) – Qualsiasi documentazione riferita ad atti giuridici, sia pubblici che privati, recettizi e non, normativi e precettivi, discrezionali, dovuti e necessari, compresi quelli di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali siano essi unilaterali, bilaterali, plurilaterali e collegiali, e anche degli stessi negozi giuridici di diritto privato che si estrinsechino quali manifestazione di pensiero attraverso la parola, orale o scritta o altri segni, operazioni o atti materiali o atti reali, ossia comportamenti umani diversi dalle dichiarazioni che riguardino atti negoziali espressione di dichiarazioni di volontà o di conoscenza, di giudizio, di desiderio o d’autorità e d’imperio deve essere trasparente, di facile comprensione, anche trascritta in lingua Veneta e priva di ambiguità interpretative rispetto anche a definizioni giuridiche.
59) – Tutti gli atti giuridici, sia pubblici che privati, recettizi e non, normativi e precettivi, discrezionali, dovuti e necessari, compresi quelli di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali siano essi unilaterali, bilaterali, plurilaterali e collegiali, e anche degli stessi negozi giuridici di diritto privato che si estrinsechino quali manifestazione di pensiero attraverso la parola, orale o scritta o altri segni, operazioni o atti materiali o atti reali, ossia comportamenti umani diversi dalle dichiarazioni che riguardino atti negoziali espressione di dichiarazioni di volontà o di conoscenza, di giudizio, di desiderio o d’autorità e d’imperio, anche in difetto degli adempimenti richiesti col presente documento entro e non oltre novanta giorni dalla sua pubblicazione all’ALBO UFFICIALE del Governo Veneto Provvisorio (Gaxeta Uficiale), avente effetto di notifica a pubblica menzione, sono a tutti gli effetti nulli, inesigibili, inesistenti e devono comunque ritenersi estinti.
QUESTO MLNV, AVENDO RECEPITO E CONFORMANDOSI
60) – Al principio naturale per cui ogni essere umano è Persona ed espressione della propria personalità derivante dalla propria originale individualità.
61) – Al principio naturale per cui ogni Persona è sovrana di sé stessa e unica titolare della propria identità.
62) – Al principio naturale per cui l’esistenza di ogni Persona costituisce un imprescindibile diritto naturale universalmente efficace e come tale non può che essere LIBERA.
63) – Al principio naturale per cui ogni Persona è libera di scegliere di non far parte di una società per la quale non nutra sentimenti di appartenenza, non identificando con essa anche le proprie radici etniche e/o un comune riferimento culturale, di lingua, tradizioni e storia.
64) – Alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789.
65) – Alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948.
66) – Al principio di autodeterminazione dei Popoli che è stato accettato e iscritto nell’articolo 1.2 della Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (firmata a San Francisco il 26 giugno 1945 ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945).
67) – Al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici – New York 16 dicembre 1966, ratificato anche dallo stato straniero occupante italiano con legge 881/77 del 25 ottobre 1977.
68) – Al principio di uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei Popoli di cui alla risoluzione dell’Assemblea Generale dell’O.N.U. nr.2625 del 24.10.1970.
69) – Ai principi stipulati con la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Helsinki, 1° agosto 1975)
QUESTO MLNV RITIENE
70) – Che tutti gli atti e/o i provvedimenti di qualsiasi natura posti in essere da una qualsiasi autorità straniera italiana nei Territori occupati della Repubblica Veneta sono privi di qualsiasi effetto giuridico in quanto posti in essere in difetto assoluto di giurisdizione ed altresì in difetto assoluto di competenza, ovvero in regime di incompetenza assoluta per materia e per territorio.
71) – Ogni e qualsiasi atto e/o provvedimento, comunque denominato, in ogni sua fase e/o grado del procedimento, posto in essere da una qualsiasi autorità e/o ente e/o società privata e/o pubblica straniera italiana di occupazione, sui Territori della Repubblica Veneta sono a tutti gli effetti INESISTENTI, ovvero tamquam non esset e pertanto anche ogni sua autorità e provvedimenti da essa emanati sono abusivi e appunto per questo sono vietati.
Pertanto il MLN, per il tramite del suo apparato istituzionale GVP
ATTESTA E CERTIFICA
72) – Che ogni essere umano, che abbia formalizzato la propria Dichiarazione di Sovranità Personale e di Nazionalità Veneta, non è e non può essere di proprietà privata dello stato straniero italiano né può essere in qualsivoglia maniera da esso asservita e sfruttata come pretenderebbe il governo straniero italiano registrato alla SEC quale Governo Aziendale (Governo Corporativo) – società corporativa privata (corporation) e che agisce relativamente al Trust governativo, rivestendo cioè il ruolo di beneficiario e non quello di fiduciario; per l’effetto, ogni Persona di nazionalità Veneta e/o che dichiari di far parte del Popolo Veneto non può essere un trust dello stato straniero italiano e quindi non può essere associata e/o identificata mediante il nome registrato all’anagrafe dello stato straniero italiano e quindi non può essere privata della capacità giuridica, della cittadinanza Veneta e del suo nome.
SI VIETA PERTANTO
73) – Il trattamento dei dati personali della persona umana in oggetto e deve intendersi negato il consenso all’utilizzo del suo nome per il trattamento dei dati personali nonché la raccolta, elaborazione, raffronto, modificazione, comunicazione e la loro diffusione agli agenti, ai rappresentanti, ai funzionari, agli organi e a qualsiasi “autorità” e/o ente e/o società privata e/o pubblica facente parte o che agisce in nome e per conto dello stato straniero occupante italiano anche in qualità di “ex Corporation” e se ne chiede l’immediata cancellazione da qualsiasi banca dati sia digitale che cartacea.
SI AVVISA E NOTIFICA
Agli agenti, ai rappresentanti, ai funzionari, agli organi e a qualsiasi “autorità” e/o ente e/o società privata e/o pubblica facente parte o che agisce in nome e per conto dello stato straniero occupante italiano dell’attuale situazione;
CHE è FATTO LORO DIVIETO IN RAGIONE DELL’ATTUALE STATO I FATTO E DI DIRITTO
74) – Di porre in essere qualsiasi atto, azione, omissione e/o procedura di qualsivoglia maniera ai danni della persona umana e in particolare di ogni Persona di nazionalità Veneta e/o che dichiari di far parte del Popolo Veneto.
IL PERSISTERE E/O PROSEGUIRE
Nell’attuazione di tali comportamenti, atti, azioni, omissioni e/o procedure di qualsivoglia maniera, anche tese alla riscossione di natura economica e/o fiscale per conto dello stato straniero occupante italiano verranno attribuite a ciascuno specifiche responsabilità:
75) – Per aver agito in difetto assoluto di giurisdizione ed altresì in difetto assoluto di competenza, ovvero in regime di incompetenza assoluta per materia e per territorio, nel Territorio della Repubblica Veneta contro appartenenti al MLNV e contro Persone, in specie di Nazionalità Veneta e/o che dichiarino di far parte del Popolo Veneto con vessazioni, minacce, mediante illegali, strumentali e persecutori accertamenti fiscali, ingiunzioni di pagamento e procedure coattive di riscossione di imposte, tributi e sanzioni in nome e per conto dello stato straniero occupante razzista e colonialista italiano e di altri suoi enti pubblici impositori, e/o in concorso con questi.
76) – Per aver posto in essere reiterati atti di forza e di aggressione contro il MLNV e contro Persone, in specie di Nazionalità Veneta e/o che dichiarino di far parte del Popolo Veneto mediante le illegali e persecutorie ingiunzioni e procedure predette.
77) – Per aver posto in essere illeciti contro la sovranità del Popolo Veneto, contro l’integrità territoriale e contro la personalità della Nazione Veneta.
78) – Per aver commesso il reato continuato e aggravato di devastazione e saccheggio nel territorio della Nazione Veneta.
LA RESPONSABILITA’ DELL’ESECUZIONE
79) – Di tali norme criminose verrà ascritta personalmente e singolarmente a ciascuno dei responsabili anche se in concorso fra loro, nei modi, tempi e condizioni che saranno ritenute di adottarsi per assicurarli alla Giustizia Veneta per i provvedimenti indennizzanti e giudiziari del caso, con tutti i propri beni, presenti e futuri e fino alla settima generazione e valutati approssimativamente a partire dal minimo di € diecimila per ogni giorno dalla loro formazione con decorrenza esecutiva passati novanta giorni dalla data di pubblicazione all’albo ufficiale del Governo Veneto Provvisorio.
E’ FATTO OBBLIGO
80) – Agli organi e a qualsiasi “autorità” e/o ente e/o società privata e/o pubblica facente parte o che agisce in nome e per conto dello stato straniero occupante italiano anche in qualità di “ex Corporations” di non procedere ulteriormente in qualsivoglia maniera col recapitare, notificare, intimare, iscrivere a ruolo e/o limitare anche parzialmente e in qualsivoglia maniera il legittimo godimento dei diritti umani, civili e politici di ogni Persona di nazionalità Veneta e/o che dichiari di far parte del Popolo Veneto
APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’ COLLETTIVA
81) – Si rammenta che le violazioni e gli illeciti commessi da agenti/organi/funzionari stranieri italiani contro cittadini del Popolo Veneto e/o contro il MLNV e i suoi militanti integrano illeciti internazionali imputabili anche allo stato italiano.
82) – Atteso il principio di responsabilità collettiva contemplato dal diritto internazionale, la responsabilità per qualsiasi violazione del diritto internazionale commessa da un qualsiasi organo dello stato straniero occupante italiano si intende estesa all’intera comunità statale e quindi allo stesso stato, che possono patire le conseguenze dell’illecito.
83) – Per l’effetto, allo stato straniero occupante italiano è estesa la responsabilità di tutti tali atti di imputazione e di qualsiasi atto di aggressione, di forza e/o di guerra posto in essere contro il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto e/o contro i cittadini del Popolo Veneto.
VISTI
gli atti antecedenti e propugnanti il presente avviso a pubblica menzione;
ACCERTATO CHE
84) – la formale denuncia, denominata DECLARATION ON FACTS e relativa chiusura e pignoramento della Repubblica Italiana, con riferimento e per causa UCC DOC. #2012127914 e UCC DOC. #2013032035, mai confutata dall’attuale stato italiano entro il termine previsto, è diventata ora Legge Internazionale con piena validità giuridica in tutto il pianeta.
85) – Il documento nr. WA DC UCC Doc# 2012113593 depositato in U.C.C., è diventato legge internazionale e dispone a tutti gli effetti quanto segue:
“Se il Rispondente dovesse scegliere di agire in nome e per conto di una entità pignorata, causando al Proponente (in questo ogni Cittadino del Popolo Veneto che sia rigettante o denunciante) qualsiasi danno come qui stabilito, il Rispondente, nella sua individuale e illimitata capacità, viene ad esserne assolutamente responsabile.
86) – Simili azioni possono dare luogo ad azioni legali portate avanti contro il Rispondente, ai sensi dell’ordine pubblico UCC1-305, incluso ma non limitatamente all’UCC COMMERCIAL BILL (vincolo/ipoteca) sul patrimonio del Rispondente”.
87) – Pertanto, qualora qualsiasi individuo perseveri nel perseguire eventuali azioni per conto di una Banca pignorata o di “Governo pignorato”, causando ad un altro e qualsiasi individuo ogni danno ipotizzabile come qui rigettato, egli è a titolo personale e senza alcuna pregiudiziale assolutamente responsabile dei suoi atti”.
PRESO ATTO
88) – dell’intenzionale inosservanza dei termini previsti dalle norme UCC e da qualsiasi altra ipotizzabile violazione dei diritti umani, civili e politici del Cittadino/a del Popolo Veneto che pubblicamente ha già rigettato/segnalato l’illecito
CONFIGURANDOSI
89) – Il reiterarsi degli illeciti già rigettati/segnalati, si procederà con la dichiarazione di arresto di tutti gli attori protagonisti, per aver posto in essere e/o favorito, l’esecuzione di tali norme criminose con l’aggravante della manifesta ostilità nei confronti di Esseri Umani, della Nazione Veneta e del Popolo Veneto.
90) – Si fa presente che il presente atto verrà pubblicato a mezzo l’ALBO UFFICIALE del Governo Veneto Provvisorio con valore di notificazione e l’iscrizione a ruolo giudiziario/dichiarazione di arresto dei responsabili con decorrenza esecutiva passati novanta giorni dalla data di pubblicazione.
TENUTO CONTO
91) – della “Denuncia di occupazione, dominazione e colonizzazione della Nazione Veneta da parte dello stato straniero italiano – Rivendicazione di sovranità del Popolo Veneto” di questo Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV) datata 27.09.2010 e depositata alla sede O.N.U. di Ginevra in data 28.09.2010 e alla sede O.N.U. di New York in data 27.11.2011;
92) – dell’Ultimatum del MLNV datato 13.12.2010 e notificato allo stato straniero, colonialista e razzista italiano e alla sede O.N.U. di Ginevra in data 14.12.2010 e alla sede O.N.U. di New York in data 27.11.2011;
93) – del decreto del GVP nr.01 – 2012.06.01 – Soggettività del MLNV
94) – del decreto del GVP nr.04 – 2013.04.09 – Nullità assoluta dei provvedimenti di pignoramento italiani
95) – del decreto del GVP nr.05 – 2019.01.06 – Nullità assoluta di tutti i provvedimenti italiani
96) – del decreto del GVP nr.07 – 2019.04.18 – Delega di Ufficiale Federale Pubblico;
97) – del UCC Doc. N°2012127914 del 28.11.2012. (cancellazione dei governi sulla carta rif. dichiarazione dei fatti)
Quale Presidente del Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto e del Governo Veneto Provvisorio, istituito dal MLNV ai sensi e per gli effetti dell’art.96.3 del Primo Protocollo addizionale (1977) alle Convenzioni di Ginevra del 1949,
R E C L A M O
98) – Che lo stato italiano rispetti il diritto al riconoscimento della personalità giuridica di ogni Cittadino del Popolo Veneto che si sia autodeterminato sotto l’egida di questo MLNV e del GVP.
99) – Che lo stato italiano rispetti il diritto all’autodeterminazione che ha il Popolo Veneto anche perché è una norma ius cogens, cioè diritto inderogabile, un principio supremo e irrinunciabile del diritto internazionale, per cui non può essere derogato mediante convenzione internazionale.
100) – Che lo stato italiano ottemperi ai propri doveri riguardo alle norme di diritto internazionale da esso stesso ratificato con la legge nr.881/1977 visto e considerato che tale principio vale come legge dello Stato che prevale sul diritto interno (Cass. pen. 21-3 1975).
NON SI SOTTOVALUTI
101) – che nel settore dell’uso della forza, l’affermazione del principio di autodeterminazione, ha ampliato la portata del divieto di cui all’art.2 par.4 della Carta delle Nazioni Unite, proibendo agli stati di ricorrere anche alla sola minaccia oltre che all’uso della forza contro i Popoli che invocano il diritto all’ autodeterminazione … e di violazioni in tal senso ne sono state compiute molte dalle autorità italiane pur agendo in difetto assoluto di giurisdizione.
102) – Noi Veneti, non siamo mai diventati italiani e nessuno ci può imporre una nazionalità e una cittadinanza che non ci appartiene anche perché è una violazione dell’art.15 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (firmata a Parigi il 10 dicembre 1948 e la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri).
WSM
Con onore e rispetto.
Venetia, giovedì 21 novembre 2024
Sergio Bortotto
Presidente del MLNV e del GVP
PRECISAZIONE A PUBBLICA MENZIONE:
N.B.: I funzionari e i dipendenti dello Stato italiano e degli enti pubblici italiani sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.
In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
—
Va ricordato altresì che la più importante delle leggi umane ha a che fare con la sopravvivenza che è un Principio Universale.
Si riferisce alle interazioni umane di ogni tipo esse siano, come l’acquisto, la vendita ed ogni genere di negoziazione.
Questa è la Legge del Commercio la quale esiste sin da quando l’uomo ha cominciato a interagire con il suo simile diverse migliaia di anni fa, a partire dall’era Sumero/Babilonese quando è stata codificata e strutturata antichi datati oltre 6000 anni fa rivelano che il sistema legale era già così articolato da includere ricevute, conio di denaro, liste di spesa, bandi e sistema postale.
Ed ecco alcuni dei principi sanciti dall’UCC.
IL LAVORATORE E’ DEGNO DELLA SUA MERCEDE.
La prima di queste è espressa in: Esodo 20:15; Lev. 19:13; Mat. 10:10; Luca 10″7; II Tim. 2:6.
Massima di legge: “è contro l’equità per gli uomini liberi non avere la libera disposizione della loro proprietà.”
TUTTI SONO UGUALI SOTTO LA LEGGE
La seconda massima è: ” Uguaglianza prima della legge” o più precisamente, tutti sono uguali sotto la Legge.
(Legge di Dio – Legge Naturale e Morale) Esodo 21:23-25; Lev. 24: 17-21; Deut. 1;17, :21; Mat. 22:36-40; Luca 10:17; Col. 3:25.
“Nessuno è superiore alla legge”.
Ciò è basato su entrambe, Legge Naturale e Legge Morale, e si applica su tutti.
Se qualcuno afferma, o si comporta come se, egli fosse “al di sopra della legge”, questo è folle.
Questa è la massima follia nel mondo di oggi.
L’uomo continua a vivere, agire, credere e formare sistemi, organizzazioni, governi, leggi e processi che presumono essere capaci di surclassare o abrogare la Legge Naturale e Morale.
Ma, sotto la Legge Commerciale, la Legge Naturale e Morale vincolano ciascuno e nessuno può fare eccezione.
Il Commercio, attraverso la legge delle nazioni, deve essere comune e non può essere convertito in monopolio o guadagno privato di pochi.
NEL COMMERCIO LA VERITA’ E’ SOVRANA.
(Esodo 20:16; Ps. 117:2;Giovanni 8:32; II Cor. 13
La verità è sovrana – e il Sovrano dice solo la verità.
La tua parola è il tuo impegno.
Se la verità non fosse sovrana nel commercio, cioè in tutte le azioni e inter-relazioni umane, allora non ci sarebbero basi per nulla.
Nessuna base per legge ed ordine, nessuna base per la responsabilità, non ci sarebbero standard, nessuna capacità di risolvere alcunché.
UN AFFIDAVIT INCONFUTATO RIMANE COME VERITA’ NEL COMMERCIO.
(12 Pet. 1:25; Heb. 6:13-15;)
Le affermazioni fatte nel tuo affidavit, se non confutate, emergono come la verità nel fatto.
Massima legale: “colui che fa una negazione, ammette”.
utti i rigetti di notifica redatti da Cittadini del Popolo Veneto e gli Avvisi a Pubblica Menzione del Governo Veneto Provvisorio sono degli Affidavit).
UN AFFIDAVIT INCONFUTATO DIVENTA SENTENZA NEL COMMERCIO.
(Heb.6:16-17;)
Ogni procedimento in un tribunale o in un foro di arbitrato consistente in una disputa, un duello relativo all’affidavit commerciale nel quale il punto che rimane alla fine inconfutato, si erge come verità nella materia alla quale l’esercizio della legge si applica.
NEL COMMERCIO OGNI MATERIA DA RISOLVERE DEVE ESSERE ESPRESSA.
(Heb. 4:16; Phil. 4:6; Eph. 6:19-21)
Nessuno legge la mente. Massima legale: “colui che fallisce nell’asserire i suoi diritti, non ne ha”.
CHI NON RESPINGE UN TORTO QUANDO PUÒ, LO ACCETTA.
Gli utilizzatori principali dalla legge commerciale e quelli che meglio la comprendono e la codificano nell’occidente civilizzato sono gli ebrei.
La Legge Mosaica, che essi hanno avuto per più di 3500 anni, è basata sul commercio Babilonese.
Questa asserisce: chi lascia per primo il campo di battaglia perde per abbandono.
(Book of Job; Mat. 10:22)
Ciò significa che un Affidavit non confutato punto per punto rimane come “verità nel commercio” perché la controparte ha lasciato il campo di battaglia.
I governi esistono presumibilmente per risolvere le dispute, i conflitti e portare alla verità.
Esistono per intervenire sul campo del duello e della battaglia in modo che la disputa, il conflitto per la verità nell’Affidavit possa essere risolto pacificamente, ragionevolmente evitando la soluzione violenta.
Massima legale: “chi non respinge un torto quando può, lo accetta.