In data 1 luglio 2019, con atto nr.2019719658 è pervenuta alla Polisia Nasionale Veneta la segnalazione/denuncia da parte di Elena Eugenia Rossignoli Pavesi circa i reiterati abusi, violenze e suo sequestro e prelevamento del figlio minore Matias ad opera di autorità italiane.
Con l'urgenza dal determinarsi di eventi che rischiano di invalidare ogni tentativo di giustizia e di equità, siamo a reclamare la dovuta attenzione nei riguardi di questa madre e di suo figlio.
Non c'è molto da dire sul terribile racconto di questa madre che difende suo figlio dalle asserite "attenzioni" di istituzioni italiane e che trasformano le loro vite in un calvario quasi impossibile da credere.
Ma ecco il disperato racconto di questa madre.
Nata in questo corpo nel 1976 AD chiamata Elena Eugenia dai miei genitori, madre di mio figlio Matias concepito in luglio 2008 mentre mi trovavo a Barcellona per studio e lavoro.
Da subito madre single, osteggiata in famiglia, ho cercato in base a ciò che ritengo etica, che non significa sempre chiaro in me, di crescere mio figlio nel migliore dei modi e di dargli il meglio.
Secondo un saggio proverbio indiano: per crescere un bambino serve un villaggio.
Nella civiltà e società odierna i villaggi non esistono più e le relazioni sono complicate, l’equilibrio naturale della vita oltre il limite di sopportazione, per cui senza sapere come ho proseguito sola nella metropoli la inattesa prova della maternità che la vita mi poneva.
Sono rimasta dopo il parto due anni in Barcellona perché ai tempi, e forse tutt’ora, i servizi sociali catalani offrivano ciò che in Italia non si poteva neanche sognare.
Non avevo un villaggio, non avevo nessuno, fin da subito mi sono quindi fidata dei servizi sociali più o meno obbligatoriamente, non avevo altre opzioni, le fresche amicizie nella metropoli al sapere della mia gravidanza e difficoltà hanno avuto da scegliere si lottare per la propria sopravvivenza, non avevo riferimenti netti lì, ma almeno mi aiutavano con un piccolo contributo economico che non esiste in Italia, non avevo riferimenti neanche qui, nel paese che mi ha dato i natali.
Dopo due anni sono tornata in Italia per vari motivi, tra cui i controlli dei sociali che diventavano opprimenti, dovevo rendicontare come usavo i soldi, ma soprattutto non potevo uscire dalla Catalunia.
Non più di tanto almeno.
Dovevo stare entro quei confini geografici, così ho deciso di rinunciare al contributo per rientrare in Italia e provare a farmi aiutare dalla mia famiglia di origine, pur consapevole che sarebbe stata durissima.
Così è stata infatti.
Mi sono quindi rivolta ai servizi sociali italiani in Novara, dove abitavo, per capire che tipo di aiuti erano disponibili per madri single.
Il quasi nulla.
Mi hanno aiutato con 120 euro al mese per circa tre anni, dopodiché mi hanno cancellato d’ufficio la residenza che non coincideva col domicilio e privato anche del diritto di residenza, e quindi del contributo di 120 euro al mese e assistenza medica.
Nonostante la privazione del diritto di residenza non sono stata privata dall’obbligo di frequentare e rendicontare ai servizi sociali.
Quelli non solo non sono stati tolti ma hanno cominciato ad aggredire, presentandosi a casa nostra senza appuntamento né preavviso, paventando un sequestro di mio figlio da parte del tribunale.
In questi anni di disservizi sociali in casa ho cominciato ad avere forte ansia e paura e anche mio figlio era sempre agitato e non dormiva, aveva incubi, a volte sognava di essere rapito e si svegliava nel panico.
Io ero stanca, cercavo di calmare lui, cercavo di calmare me, e lui soprattutto fino all’ultimo ha cercato di calmare e proteggere me, e lo fa ancora.
All’inizio mi sono rivolta al medico di famiglia dell’asl, prima che me lo togliessero d’ufficio, mi ha prescritto dei calmanti molto diffusi e prescritti che vengono catalogati da quella stessa medicina che li prescrive come droga.
Droga legale che ti scrive il medico di famiglia.
Come ogni droga ha cominciato presto a dare assuefazione e a richiedere aumento di dose.
Dopo qualche aumento sono tornata dal medico ad informarlo che non potevo continuare ad aumentare, non era il mio scopo, temevo con dosi troppo alte le conseguenze.
Il medico mi prescrive visita specialistica da psichiatra perché lui non sa come risolvere il problema.
Lo psichiatra per risolvere il problema affianca a questa droga un altra droga ancora peggiore, per togliere quella di prima però.
Questa seconda droga aveva effetti peggiori della prima, la prima la smaltivo, questa no, quindi ero sempre giorno e notte stanchissima e priva di forze.
Ma il medico specialista diceva che era necessario per togliere l’altra, con cui sono effettivamente scesa, perché questa mi stendeva 24 ore su 24.
Nel frattempo i servizi sociali mi chiedono di portare mio figlio da una neuropsichiatra infantile, a cui ho sempre detto: sono consapevole di ciò che mi dice, ma ho bisogno di una mano, io ne ho solo due e non sono in forma, non mi serve venire qui da lei a parlare.
Poi siccome i bla bla con la neuropsichiatra non risolvevano nulla e lo psichiatra insisteva con i farmaci anche ammettendo a me la sua consapevolezza che non risolvevano nulla, più di una volta, i servizi sociali hanno cominciato a dire che non andava bene.
Però al solito non facevano nulla per aiutarmi in nessun modo.
La minaccia di rapimento di mio figlio comincia a diventare concreta.
Cosi cerco di tenere tutti buoni rinunciando alla misera abitazione in usufrutto gratuito per andare a mettermi in una comunità apparentemente autonoma e libera da vincoli statali e da servizi sociali per provare a far andare meglio le cose, essere aiutata da donne che dicevano essere quello un luogo per donne in stato di bisogno, ed evitare che Matias venisse rapito.
La scelta è stata ben vista da questi disservizi sociali e annesso tribunale minorenni che già mi indagava.
Al punto che la sociale di Novara si era inventata un contributo individuale che non esiste in Italia per pagare la retta di questa comunità.
E veniva a controllare.
Nella comunità, se così la si può chiamare, vigevano occulte gerarchie pur essendomi stata presentata come realtà indipendente dallo Stato e servizi sociali e bastata sull’etica del cerchio, quindi da pari a pari con pari dignità.
Gli spazi erano peggio che ristretti le pareti inesistenti, continui gli obblighi in cucina, in pulizie maniacali, in presenza di uomini maschi violenti e sconosciuti che giravano per casa poiché in qualche modo legati alla gerarchia dominante quindi autorizzati.
L’etica del cerchio era una facciata inesistente in pratica.
Il luogo era profondamente ed intimamente legato alle gerarchie cattoliche e alle mie spalle si relazionavano con i servizi sociali su di me e su mio figlio.
Io, ma soprattutto mio figlio, eravamo costantemente discriminati e la gerarchia decideva per noi comunicandoci che avevano consapevolezza di creare problemi a mio figlio e a me con quelle decisioni.
Matias era sempre più nervoso e agitato, la vita in quel posto un inferno.
Ma i sociali pagavano la retta, io ero distrutta dai veleni farmacologici quindi ero in trappola.
Non mi permettevano di seguire mio figlio per continui obblighi domestici, in casa girava chiunque fosse amico dei gerarchi.
I sociali di Novara, che mai mi hanno mollato nonostante mi avessero tolto la residenza e che pagavano la retta, hanno insistito affinché regolarizzassi la residenza in quel posto, già che il tribunale si avvicinava e senza residenza mi sarei “presentata male”.
In quel luogo mi indicarono inoltre un prete chiropratico per aiutare mio figlio.
Ho portato Matias tre volte, la seconda volta una assistente del prete diagnostica a mio figlio delle stenosi, dice che in quelle condizioni il cuore non avrebbe retto. Chiedo cosa devo fare, non voglio vedere mio figlio morire col cuore scoppiato da ragazzo.
Mi dice che ci pensano loro.
Chiedo a un pediatra se ci sono tecnologie in grado di rilevare queste stenosi, mi dice che non esiste tecnologia tanto fine.
Mi fido quindi del prete e assistenti vari.
Porto col cuore in gola Matias, credendo che gli stavo salvando la vita.
Il trattamento è stato doloroso, io mi sono spaventata ma mi tenevano lontana dicendomi di non preoccuparmi, mio figlio si libera da solo dalla morsa di quattro adulti e il prete lo sgrida quando lui si libera.
Mi dicono di andare via e non farmi più vedere.
La sera Matias era profondamente ed intimamente risentito e io spaventata, non sapevo cosa gli avevano fatto, lui era scosso e anche io.
Ho chiamato ambulanza per capire cosa fosse successo.
L’ambulanza ha chiamato i carabinieri, ci hanno portato d’obbligo in ospedale dopo aver girato intorno a mio figlio con una siringa di valium puntata addosso, io che scappavo con lui in braccio ma non potevo scappare.
Sono riuscita a farli ragionare di togliere l’ago che lo stavano spaventando solo e mettere in un bicchiere con acqua.
In ambulanza Matias si è addormentato, denuncia d’ufficio fino alle sei del mattino col carabiniere che raccoglieva le mie dichiarazioni.
Mi ha chiesto se volevo denunciare ma ho rifiutato, non sapevo che cosa avevano fatto e se avevano operato per curarlo o per fargli del male.
Le indagini del caso sono state aperte e chiuse come tutto il resto, come nulla fosse.
Questo evento, mentre il tribunale si avvicinava e la “comunità” mi consegnava ai nuovi sociali di zona intervenuti col cambio di residenza, ha fatto precipitare la situazione.
Sono stata convocata al tribunale, mi hanno detto che avrei fatto un colloquio con uno psicologo.
Nel frattempo ho scoperto l’esistenza della frode del nome legale e della vendita fraudolenta del figlio imposta con la registrazione anagrafica.
Ed era sempre più chiaro che questi “servizi” sociali e sanitari, mi stavano distruggendo il figlio e l’esistenza con motivazioni assurde.
Comincio ad appellarmi ai diritti dell’uomo e ai diritti dell’infanzia quindi, anche con questo “psicologo” del tribunale.
Mi dice che quello che decideranno per me sarà decisivo fino a che non farò ricorso, gli dico che non è così perché sono autodeterminata e quindi loro pari, in facoltà giurisdizionale su me stessa e su mio figlio e sulle mie proprietà.
Credo quindi che la mia autodeterminazione e dimostrazione che mi stavano frodando per commerciare mio figlio mi avrebbe tutelata.
Così mi dicevano gli sperimentatori di questa pratica.
Nel frattempo i sociali mi propongono un internamento “volontario” ma obbligato, tanto se non lo faccio io lo fa il tribunale e se scappo mi fanno emettere mandato di cattura.
Comunico di nuovo in forma scritta che non sono disponibile alla vendita di mio figlio che non provino ad aggredirci con forze armate a due esseri disarmati ed indifesi, un bambino e sua mamma.
Rientro nell’alloggio che avevo antecedentemente in usufrutto gratuito.
Veniamo svegliati il 21 luglio 2017 da pesanti colpi alla porta, si presentano due assistenti sociali di Ivrea con due uomini che si identificano come carabinieri in servizio e si presentano in borghese, credo per sembrare disarmati.
Intimano di andare in caserma col bambino e passano più di un’ora nel cortile alle finestre di casa al piano terra.
Temo che se non vado a prenderla non se ne vadano neanche loro e che mi emettano mandato di cattura, quindi sfondano la porta di cartapesta.
Mi imboniscono dicendomi che è una questione di pochi minuti per il ritiro di una notifica.
Convinco mio figlio a subire anche questo abuso per toglierceli dal cortile, dalla caserma è uscito prima mio figlio rapito da una delle due assistenti sociali poi io quando ho firmato sotto costrizione per essere deportata insieme a mio figlio.
Leggo quel foglio e scopro essere un mix di taglia copia ed incolla di scritti dello psichiatra della neuropsichiatra infantile e dei servizi sociali, stralci presi a caso da due vite rubate per mettere insieme la detenzione di mio figlio permettendomi di stargli accanto nel luogo di detenzione per cominciare a far girare sulla sua pelle migliaia di euro al mese.
Improvvisamente la macchina sociale che non aveva nulla da dare alla mamma e alla famiglia diventa opulenta ed operativa e piena di zelanti servitori loro e carcerieri nostri.
I carabinieri di Vespolate avevano accordato che avrebbero accolto le denunce che per più di tre ore ho cercato di depositare vedendomele negate, in caserma siamo stati rinchiusi almeno tre ore, eravamo ancora mezzi in pigiama e a digiuno.
Quando incontro di nuovo mio figlio nella prigione per bambini accompagnati da mamme che si piegano alla violazione ho calmato mio figlio che mi allontanava dandomi la colpa di essere andata a ritirare la carta già che lui mi aveva detto ripetutamente di essere contrario.
Il suo pianto di quel giorno non lo potrò mai dimenticare e cerco di non pensarci per poter continuare a scrivere ed evitare l’automatico riempimento di lacrime agli occhi che il ricordo mi genera, quindi ora bruciano e si velano, una cade e scivola sul viso, poi cade la seconda e la terza.
I carabinieri di zona intervengono beffardi e sbruffoni, non accolgono le denunce mai accolte perché fuori orario di ufficio.
Gli faccio presente che quando il prete ha fatto male a mio figlio il carabiniere ha scritto fino alle sei di mattina su richiesta di un magistrato.
Mi appello alla legge ma non la conosce.
Mi appello alla norma di protezione del corpo fisico ma non la conosce.
Gliela spiego e mi risponde: non è mica lei sequestrata, è suo figlio.
Chiedo a mio figlio di invocare habeas corpus, il carabiniere si stufa mi dice che non ho superato il test di ammissione in quel luogo e che fa portare via mio figlio.
Lo supplico inutilmente.
Le ore passano arrivano di nuovo altri sociali e un’ambulanza.
Mi obbligano dopo ore di negazione ed opposizione mia e disperazione di mio figlio stremato che voleva andare a dormire a salire sull’ambulanza.
Affido mio figlio a mio padre che ho chiamato per non abbandonare lì da solo mio figlio e non posso neanche accedere ai miei effetti personali, mi buttano in ambulanza con scarpe tirate e carta d’identità rubata dalla borsa.
I miei documenti di autodeterminazione vengono fatti sparire.
Mentre attendo questa visita obbligata a mezzanotte mi chiama mio figlio e mi informa che lo stanno portando via dal nonno, il telefono viene sequestrato.
Mi mantengo calma perché so che la visita è psichiatrica, riesco a far ragionare il medico che mi dimette e rimanda di nuovo allo specialista curante che mi stava ammazzando di farmaci.
Scopro dalla dimissione che era stato un tentativo di trattamento sanitario obbligatorio, rifiutato dal medico.
Gli operatori dell’ambulanza che mi avevano detto che mi avrebbero riportata indietro spariti, il medico che ha giurato testimonianza sul fatto che mio figlio sarebbe stato con il nonno fino al rientro sparito, Matias sparito dopo avermi avvisato al telefono.
Da lì è iniziato il peggior calvario: sociali che rimandano a sanitari e tribunale, sanitari che rimandano a sociali e tribunale, tribunale che non dialoga e comunica con me, i giudici non parlano con noi per motivi di sicurezza loro, anche se ci fanno lo scanner prima di entrare in sede ed entriamo disarmati.
Cerco sostegno in due avvocati ma comprendo che non usano la legge, anzi lo dichiarano, è una questione di negoziazione.
Negozio giuridico, lo so.
Nel frattempo il TRIBUNALE MINORENNI DI TORINO ha modificato il suo provvedimento dell’11 luglio 2017, che recita: se la madre si allontana prolungatamente e ingiustificatamente dal figlio e lo abbandona.
Denuncio che non solo le leggi ma manco i provvedimenti loro rispettano, io sono stata sequestrata e ingannata ancora e pure dimessa.
il 4 agosto TRIBUNALE MINORENNI DI TORINO avvalla il sequestro, come se mi fossi allontanata io.
Scopro dov’è mio figlio il 17 agosto 2017, giorno in cui riesco a sentirlo per la prima volta dopo che ho passato il tempo in procure, caserme, uffici di ogni sorta a denunciare e dopo aver lasciato il primo avvocato.
Lascio il secondo avvocato il giorno del TSO eseguito su di me il 30 agosto 2017 mentre cerco con amministrazione asl di non farmi imputare che io non collaboro con ASL, che ho rigettato quel medico, che quel medico dichiara di non poter proseguire con me perché rifiuto gli psicofarmaci, che mi assegnino un medico d’ufficio o risulto io in omissione.
Lascio quindi questo secondo avvocato quando non mi difende dal sequestro in psichiatria, stavolta eseguito, comunicandomi che io mi sto mettendo contro poteri forti, che è da pazza.
Dopo che mi dice che non riesce a convincere i sociali a far portare mio figlio dal dentista in nessun modo….
Quindi…mi è inutile anche il secondo avvocato.
Riesco a ottenere una telefonata da numero privato il 17 agosto dopo aver girato la procura di Torino, di Ivrea e diverse caserme, mi impunto a Novara, perché non è mai competenza territoriale di nessuno, dopo essere stata rinchiusa in procura a Torino con un procuratore che cercava di farmi fare dichiarazioni sue facendole risultare mie, per “aiutarmi”, mentre negavo e lui mi minacciava di non farlo arrabbiare.
Candidamente gli dicevo: mi scusi ma se parla lei perché deve dire che parlo io?
Allora mi faccia dire ciò che ho da dire: no, non funziona così: questa è la prassi.
Cerco di correggerlo credendo che essere riuscita a parlare con un procuratore mi fosse utile, del resto loro con i procuratori mi avevano rapito il figlio, quindi resisto e cercando di non farlo arrabbiare lo correggo il più possibile.
Conclude senza consegnarmi copia e dicendomi che la competenza territoriale è Novara… mi rivolgo quindi a Novara, solita polizia giudiziaria che ti fa parlare e ti blocca ogni accesso, il polizia giudiziaria del giorno era però anche guardia di finanza, chiama i colleghi carabinieri e sociali si beffano di me al telefono.
Alla fine però dopo aver parlato con tutti i suoi colleghi mi ascolta.
Forse perché finanziere capisce qualcosa di quel che dico.
Mi fa attendere e mi fa parlare con il procuratore generale di Novara.
Il procuratore sembra una brava donna, mi dice di mangiare, di dormire, il militare se cerco di parlare mi fa segno di stare zitta, che parla il procuratore, il procuratore mi fa discorsi sull’umanità, siamo tutti umani, anche chi non ci sta simpatico, a volte si sbaglia tra umani.
Cerco di dirle che appunto che siamo umani cosa state facendo ma il militare mi richiama all’ordine… alla fine chiama un suo collega o amico, si conoscono evidentemente Luigi.
Gli dice che ha la mamma davanti che il provvedimento dice che posso vedere mio figlio, insomma… di farmelo vedere.
Le faccio presente che il provvedimento di cui parla è la violazione del primo provvedimento e molto altro, mi dice: oramai c’è questo.
Vado via credendo di aver fatto una breccia nel muro di gomma e con fiducia in questa donna che è poi sparita nel nulla.
Dice che si occuperà di trasmette tutto a Milano perché loro non possono per competenza territoriale.
I miei fascicoli giacciono in indagine da due anni a Novara e Vercelli.
Mi hanno rapita, rinchiusa in psichiatria il giorno 30 agosto 2017, mentre chiedevo all’amministrazione asl di cambiare il medico perché il tribunale imputava me di non essere collaborativa e io da MORETTI dopo che aveva lavorato per farmi rapire il figlio non ci andavo di certo ancora.
Ma era agosto, le pubbliche amministrazioni hanno troppa burocrazia e faceva caldo….
Hanno direttamente chiamato una psichiatra di guardia, quando serve a loro c’è sempre qualcuno di guardia, quando ho bisogno io non c’è mai nessuno di guardia a nulla.
Scende una signora che si dichiara medico che dice di avere figli, le dico che sento mio bambino piangere e chiamarmi.
La pazza perfetta… in questo mondo criminale, perché forse era solo il mio cuore spezzato.
Le dico dei problemi che sto vivendo e che ho avuto con lo psichiatra anteriore che mi stava distruggendo di farmaci.
Mi dice attenda un attimo, rientra.
Mi alzo e le dico: lei ha chiamato la polizia, non mi prenda in giro.
No, no, signora si sieda, tranquilla, mi dica.
Poi con un viso da agenzia viaggi mi propone un soggiorno in psichiatria.
Le dico… ho da fare… non ho tempo da perdere, le sto dicendo che non so dov’è mio figlio da un mese e mezzo e sto morendo.
Quando cerco di uscire mi trovo spalle al muro con polizia municipale a ambulanza.
Chiamo degli amici che hanno avuto problemi con la criminalità organizzata, mi dicono di andare volontaria e non farmi caricare di forza per andare in accertamento sanitario per tre giorni e non far partire tso.
Hai DIRITTO AD ASSISTENZA LEGALE mi dicono.
Chiedo a loro, che mi stanno sequestrando l’assistenza legale, mi dicono che non la forniscono.
La dottoressa che mi riceve in pronto soccorso con la collega praticante maledice la anteriore perché non si può portare qui questo come tso.
Io in tutto questo ho mantenuto la maggior calma possibile, perciò a loro del pronto soccorso sembravo abbastanza posto.
La dottoressa mi dice: domani mattina ti dimetto.
Senza pigiama senza spazzolino senza NULLA mi sequestrano in psichiatria.
Cerco i miei genitori, che acconsentono al trattamento obbligatorio, per un cambio e qualcosa per lavarmi.
Credo di essere in accertamento sanitario.
La mattina la dottoressa si presenta dicendo che ha parlato con un giudice, che ho un giudice tutelare e TSO ha inizio!
Chiedo accertamento sanitario: negato.
Telefono sequestrato.
Amici cercando di venire a trovarmi ma non li fanno entrare.
Per giorni sono stata minacciata con siringhe al collo se non bevevo farmaci a cominciare la mattina a digiuno e costretta ad accettare un’iniezione perché senza iniezione non uscivo da lì.
Chiaro e tondo.
Ho accettato per uscire.
Mi volevano obbligare a queste iniezioni una volta al mese, una sostanza che si deposita nel corpo e resta in circolo molto più di un mese.
Ma loro a 30 giorni… ne mettono ancora.
Cosi mica che ne resta poco dentro.
DEPOT.
Perché sapevano che non volevo più prendere per bocca.
Torno a casa distrutta e comincia l’effetto dell’iniezione.
Un innocente errore medico di cui non risponde mai nessuno?
O un tentato omicidio?
Visto che ho chiamato per dire cosa succedeva e non mi aiutavano.
Mi hanno iniettato insieme farmaci in contrapposizione tra loro, e volevano farlo una volta al mese …ho cominciato a sentirmi malissimo, non riuscivo più a camminare tremavo il petto in fiamme ero dilaniata.
Ho chiamato lo psichiatra privato che avevo contattato dopo il rapimento per avere una diagnosi, appena dopo il rapimento guarda la diagnosi e mi dice: primo quello che le hanno diagnosticato non è una malattia.
Non è una patologia.
Secondo non si cura con i farmaci.
Ma lei è assuefatta da anni, quindi sarà dura toglierli.
Il giorno del rapimento ho tolto il grosso, quello che non smaltivo mai.
La droga iniziata col medico di famiglia… la sto togliendo con fatica, non dormo senza.
E come potrei dormire tranquilla?
Mi sveglio continuamente: Matias. Matias. Matias.
Ma la sto togliendo, sto riuscendo anche in questo, anche se Matias mi manca troppo ed io manco troppo a lui.
Dalla procura di Milano a cui Novara avrebbe immediatamente girato tutto a detta del procuratore di Novara è arrivata una comunicazione incomprensibile, scritta in apparente italiano ma completamente priva di senso, qualche mese fa, primavera 2019, antiterrorismo di Milano.
Non si capisce il contenuto, ma da come è scritta sembrerebbe: io che sono andata lì (quando? Mai) a richiedere l’archiviazione se voglio oppormi alla mia richiesta di archiviazione ho tot giorni.
Credo.
Se qualcuno vuole leggerla magari ci aiuta a comprendere cosa c’è scritto…
comunque rigetto.
E oppongo.
E ridenuncio tutto anche a Milano.
TRIBUNALE MINORENNI DI TORINO mi fa avere il regalo di natale 2018 dopo le feste: terzo provvedimento, siccome non vado dallo psichiatra e loro vogliono tanto bene a mio figlio, che sta male dove sta e vuole la madre, scritto di pugno loro: lo rivendono ad altri.
Quando la psicologa lo comunica a mio figlio lui va in arresto respiratorio.
Mi racconta la psicologa al telefono.
Ma poi ha ripreso a respirare signora!
Stia tranquilla…
Ora mi scusi ma ho altri impegni la devo lasciare.
Dentro di me la rabbia cresce cresce e cresce.
Comincio a masticare la parola criminali.
Criminali.
Criminali.
Comincio a chiamarli così davanti a loro, ridenuncio i crimini contro umanità ed infanzia per ennesima volta.
Da novembre 2017 avevo messo residenza regolare come vogliono loro, cerco di farli contenti, e subentrano altri sociali ancora.
CHERSAN CRISTINA dichiara che vedo mio figlio due ore al mese perché a lei va bene così, che è una professionista di non insegnarle il suo lavoro.
Inutile appellarmi alla legge a far presente che il tribunale doveva risolvere un provvedimento inappellabile che lo psicologo del tribunale mi aveva venduto come appellabile in 30 giorni.
Che è passato un anno e mezzo….lei si dichiara dispiaciuta di queste lungaggini…. Alle mie richieste di dentista dice che bambino è curato.
HANNO FATTO MARCIRE DENTI PERMANENTI CHE DALLE LORO CARTE INIZIALI SONO DICHIARATI SANI.
Ho passato 16 mesi a richiedere dentista e cure a TUTTE LE PROCURE ITALIANE, ho foto spiazzanti e dichiarazioni mendaci che il bambino è curato, mi impediscono gli educatori militari in borghese che ci sorvegliavano quelle due ore al mese e minacciavano di interrompere incontro pretendendo che reciti il copione che neanche mi presentano e che io devo intuire, ossia far credere a mio figlio che sono consenziente e consensuale a quelle pratiche.
Cosa mai fatta fino al punto che i sociali decidono di sospendere ogni contatto perché manifesto dissenso, devo essere consenziente, insomma….
Invece dico a mio figlio le cose sbagliate, in realtà qualche pezzo di verità rubata e piazzata in quel posto in cui è vietata, ogni tanto, non lo vedo e non lo sento mai, come faccio in due ore a rovinargli la vita come sostengono loro?
Che almeno mio figlio sappia che stanno violando il mio consenso di madre.
Dicono che hanno un “progetto” su di lui, ma io non so quale esso sia, mai visto nessun progetto.
Prima di togliermi le visite in una mail priva di soggetto mi comunica: sospeso telefonate.
Poi assistente sociale mi fa andare da lei il giorno di una delle due ore al mese che vedo mio figlio, meno di 48 ore in due anni in totale, il 20 giugno 2019, e mi toglie quindi la visita di quel giorno.
Vado con due osservatori volontari per i diritti umani A/RES/53/144, non li fanno entrare perché non vogliono parlare con sconosciuti.
Io invece devo stare li con loro sconosciute invece che con mio figlio, e pure da sola.
Chiamano anche i carabinieri.
Mentre mi comunicano, nello stanzino in cui devo entrare da sola senza che nessuna legge lo prescriva ed avendo consegnato normativa su osservatori diritti umani autorizzati ad entrare ed assistere, che mi sospendono anche le visite con mio figlio, arrivano i carabinieri e gli osservatori vengono aggrediti dallo stesso carabiniere che ha fatto partire il sequestro come conseguenza di habeas corpus, accompagnato da un omone supermuscoloso che registra tutto mentre cercano di impedire a noi di registrare.
Dichiarano di difendere i diritti del bambino.
Gli osservatori restano tranquilli e tengono i militari tranquilli.
Esco dallo stanzino e… lo riconosco.
Ribadisce che lui difende i diritti del bambino (ma ignora la legge) e che ha giurato fedeltà alla magistratura.
Gli dico che credevo che avesse giurato sulla legge e sulla costituzione tra cui difendere i diritti che dimostra di ignorare e non sulla magistratura, si chiudono in uno stanzino con le sociali varie e ce ne andiamo.
Sono andata dallo psichiatra privato che dice e scrive che sto abbastanza bene di salute ma che l’impossibilità di relazionarmi con mio figlio mi fa sentire male.
Sono andata in Tribunale il giorno seguente 21 giugno 2019 a chiedere se anche questo terzo provvedimento sarà violato, visto che mi hanno tolto telefonate e visite. Rideposito tutte le mie denunce e affidavit e disposizione di ricongiungimento familiare di QaM.
Salgo a cercare chi di competenza.
Il giudice non si fa trovare.
Denuncio verbalmente al segretario che non si vuole identificare e che ci da il suo numero di telefono interno per vedere se il giudice mi vuole ricevere.
Gli dico che sono due anni che subisco violazioni insieme a mio figlio e che ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto, carabinieri, servizi sociali e tutti i loro giri, e che mio figlio è ulteriormente sparito da visite e telefonate.
Chiama lunedì 24 giugno 2019 l’ispettore diritti umani, gli dicono di fare richiesta scritta.
Faccio richiesta scritta, richiamiamo: il giudice del caso non vuole parlare con me.
L’ultima volta che ho visto mio figlio ho saputo che a inizio mese, sembra il 2 luglio da quel che ne sa lui, lo spostano altrove.
In questi due anni di calvario ho visto Matias perdere il sorriso, oltre che i denti permanenti sani, non so che altro perché impediscono anche a lui di parlare prima di vedermi, mi dice che spera tanto di tornare a casa con me, è spesso stanco e triste, anche se non lo vedo mai lo sento, e lo vedo in un istante.
Mi hanno aiutato solo gli amici consapevoli che uomo ha diritto e bambino è SACRO, che come mio figlio e come me sono costantemente attaccati e violati per questo.
La mia fede è ciò che viene dal cuore e che ho trovato in tanta saggezza lasciata in eredità a noi, possiamo vivere da uomini su questo pianeta, la possibilità teorica esiste, e io voglio solo questo, mia madre natura, i miei cari, bambini liberati dal giogo della schiavitù e del commercio e uomini che si rispettano l’un l’altra, ancora non mi sembra impossibile, ma negli ultimi mesi cari amici hanno subito violazioni tremende e su mio figlio e su di me sono solo sempre più incattiviti.
Il magistrato che ha fatto uscire gli abusi sui bambini rapiti sotto falsa tutela in Emilia, non so se è un eroe o se gliel’hanno permesso perché la cosa non poteva stare lì, possiamo noi chiudere gli occhi e far tacere i bambini, ma io, come ho detto alla psichiatra che mi ha fatto rapire e poi torturato con farmaci che non possono essere dati in contemporanea al fine di farmi ammalare definitivamente e forse morire (perché una ne ho provata, una sola, e credevo che sarei morta, ero paralizzata, tremavo e il petto era squarciato, cosa sarebbe successo se avessero proseguito non lo so) quel pianto lo sento, lo sento ora.
ORA.
Ora che mi devo fermare di nuovo perché se vado lì, dove loro piangono, in contemporanea piango anche io e non vedo più i tasti.
E devo scrivere scrivere scrivere.
Se qualcun altro sente quel pianto dentro agli occhi come proprio, come succede a me, io ora posso impegnarmi al massimo per Matias perché nonostante tutto sono la mamma e hanno veramente da ammazzarmi per fermarmi, sono sua mamma… cosa vogliono che faccia?
Il sorriso compiacente?
Ma la cosa peggiore è che solo in suolo italico per il crimine che stiamo subendo io e mio figlio e che ora è stato pubblicamente denunciato per il caso emiliano si parla di 40.000 bambini all’anno e cifre da capogiro sulla loro pelle, e i giudici ancora sulle sedie stipendiati a sparare… minchiate, permettetemelo in chiusura.
Facciamo qualcosa per loro, perché siamo noi nella nostra miglior forma ed espressione.
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